Garibaldi: una storia da riscrivere, una leggenda da sfatare

Creato il 19 giugno 2012 da Federbernardini53 @FedeBernardini

Tra gli eroi del nostro Risorgimento giganteggia la figura di Giuseppe Garibaldi. La sua imponente statua equestre, che dall’alto del Gianicolo, contornata dai busti marmorei dei suoi fedelissimi, sembra guardare Roma con aria di sfida, è la testimonianza più eloquente di ciò che l’Eroe dei Due Mondi rappresenta nell’immaginario collettivo del popolo italiano.

Un oggetto di devozione, imposto sin dalle elementari, più di Mazzini, Cavour o Vittorio Emanuele II. Parlar male di lui, ancor oggi, è considerato una bestemmia.

Ma chi fu, in realtà, Giuseppe Garibaldi? Fu veramente, come affermò Sandro Pertini in un messaggio alle Camere in occasione del centenario della morte, l’artefice della “…più autentica partecipazione di popolo alla costruzione dell’Unità Nazionale”?

No. Il popolo non partecipò al Risorgimento, un fenomeno elitario che coinvolse a mala pena l’1% dei cittadini, esponenti, in massima parte, del ceto nobiliare e militare e della borghesia d’ispirazione massonica. Ciò destituisce di ogni fondamento l’idea di un Garibaldi eroe popolare.

Il mito nasce nel 1834, inoccasione dell’infelice quanto sgangherato tentativo mazziniano di insurrezione della Savoia e di Genova.

In Savoia il Mazzini dette prova del suo coraggio svenendo alla prima schioppettata e, mentre i suoi fedelissimi lo conducevano al sicuro in Svizzera, i giovani illusi che l’avevano seguito morivano inutilmente sotto i colpi dell’esercito piemontese. A Genova l’insurrezione fu un clamoroso fallimento e il Garibaldi ne fu soltanto spettatore. La sua partenza per l’esilio non fu dovuta dunque alla sua partecipazione ai moti ma al fatto che, essendo ufficiale della marina mercantile sabauda ed avendo abbandonato il comando del suo bastimento, fu considerato disertore e condannato a morte.

Ciò nonostante fu accolto a Rio de Janeiro come l’eroe dell’insurrezione genovese dagli emigrati mazziniani che avevano bisogno, per la loro propaganda, di una figura simbolica creata non sul campo di battaglia ma a tavolino. E il nostro si immedesimò subito e di buon grado nella parte.

Dopo aver combattuto come mercenario ed aver fatto il pirata e il trafficante di schiavi*, approda, nel 1848, a Roma ed è tra i capi della Repubblica Romana. Il suo mito, alimentato dalla propaganda e dalle sovvenzioni dei protestanti inglesi americani e svizzeri, raggiunge il culmine. Garibaldi diventa il simbolo della lotta contro quella che il pregiudizio anticattolico definisce l’oppressione papista. Dove non arriva la propaganda protestante arriva quella massonica e Garibaldi si trasforma progressivamente in una sorta si santo laico del quale si conservano e onorano le preziose reliquie.

L’apoteosi arriva nel 1860, con la Spedizione dei Mille. Ancor oggi sono in molti a credere che quel manipolo di avventurieri, male addestrati, male equipaggiati e male armati abbia sconfitto il potente esercito borbonico.

La realtà è ben diversa, meno eroica e meno edificante. L’esercito di Franceschiello, i cui comandanti erano stati corrotti, non oppose che una resistenza formale e molti generali e ammiragli borbonici, pronti a cambiare casacca, sarebbero andati a occupare i più alti gradi dell’esercito e della marina italiani.

Di quanto poi fosse popolare la politica del liberatore si accorsero ben presto i contadini siciliani, che speravano di poter occupare il latifondo baronale. A Bronte, tanto per far capire che dovevano starsene al loro posto, il generale Bixio ne fece fucilare qualcuno, dopo un processo ex abrupto.

E quando l’Eroe dei due Mondi si fece da parte e consegnò mezza Italia, lui repubblicano, nelle mani di Vittorio Emanuele II, ebbe inizio per il nostro Meridione una stagione di spoliazioni e di eccidi che avrebbe creato una “Questione” ancor oggi irrisolta.

*Così scrive Garibaldi nelle sue memorie:

“Il sig. Pietro Denegri (il 15 ottobre 1851) mi diede il comando della Carmen, barca di 400 tonnellate, e mi preparai per un viaggio in China…Veleggiai…colla Carmen verso le isole di Cincia, ove si caricò guano, destinato per la China; e tornai a Callao per le ultime disposizioni del lungo viaggio. Il 10 gennaio 1852 salpai dal Callao per Canton. Impiegammo circa 93 giorni nel viaggio, sempre con vento favorevole. Passammo alla vista delle isole di Sandwich, ed entrammo nel mare di China tra Luzón e Formosa nelle Filippine. Giunto a Canton, il mio consegnatario mi mandò ad Amoy, non trovandosi a vendere il carico di guano nella prima piazza. Da Amoy tornai a Canton: e non essendo pronto il carico di ritorno caricai per Manilla differenti generi. Da Manilla tornai a Canton, ove si cambiarono gli alberi della Carmen…Pronto il carico, lasciammo Canton per Lima…Dopo una traversata di circa 100 giorni…si sbarcò il carico a Lima”.

(G. Garibaldi, Memorie, 1998 – edizioni BUR)

A rivelarci cosa Garibaldi intendesse con espressioni come “Carico di ritorno” e “Pronto il carico” è lo storico Giorgio Candeloro, in un’intervista pubblicata dal quotidiano La Repubblica il 20 gennaio 1982:

“…Comunque Garibaldi, un po’avventuriero, un po’ uomo d’azione, non era tipo da lavorare troppo a lungo in una fabbrica di candele (in società con Antonio Meucci, l’inventore del telefono, anch’egli in esilio in America). Va in Perù e, come capitano di mare, prende un “comando” per dei viaggi in Cina. All’andata trasportava guano, al ritorno trasportava Cinesi per lavorare il guano: la schiavitù in Perù era stata abolita e il guano non voleva lavorarlo più nessuno. Insomma un lavoretto un po’ da negriero…(Le condizioni nelle quali lavoravano quegli uomini, sebbene non formalmente, erano praticamente equiparabili alla schiavitù)”.

Le affermazioni di Candeloro trovano conferma nel volume “La vita e le gesta di Giuseppe Garibaldi” di A. Vecchi, che riporta una frase dell’armatore Denegri (nomen omen) riferita al Garibaldi:

“M’ha sempre portati i Chinesi nel numero imbarcati e tutti grassi ed in buona salute; perché li trattava come uomini e non come bestie”.

Insomma, Garibaldi era sì un negriero…ma dal volto umano.

Federico Bernardini

Illustrazione: Il giovane Garibaldi, fonte http://it.wikipedia.org/wiki/File:Garibaldi_som_ung.jpg



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