Difficile ascoltare questo disco e poi pensare che il tutto sia stato pensato, scritto e registrato nei pressi di Milano. Un lavoro senza dubbio poco italiano, come direbbe il personaggio di una popolare serie tv.
Gabriele Maruti, in arte Garry Pitcairn, è stato il fondatore e per anni chitarrista degli Anubi, autori di due ep e degli ottimi Epic Fail e Free State Of Anubi. Sciolta la band, Garry si dedica anima e corpo al suo esordio da solista, del quale incide tutti gli strumenti eccetto la batteria, suonata da Steve Lions, già collaboratore degli Anubi. (I’ll See You) In The Trees è quello che si potrebbe definire un disco denso, ricco di sfaccettature e molteplici influenze, sempre rielaborate con estro e grande personalità. Gli undici brani che lo compongono vantano un altissimo livello di scrittura, una consapevolezza dei propri mezzi invidiabile, senz’altro maturata dal loro autore nelle precedenti esperienze musicali. Possiamo rintracciarvi atmosfere cupe, quasi reznoriane (“Something Never Done”) o brani più incalzanti come “Set On Fire”, che parafrasa i Wilco facendoli propri in un contesto decisamente più acido. Incontriamo poi invece un Lanegan che giusto di sbieco si incrocia col miglior Sparklehorse (“Window Bars”), mentre episodi quali “Revolution Decayed” e “Story Of Shadow Grace” rappresentano due ottimi esempi di canzone barrettiana, dilatati nelle ritmiche e nelle linee melodiche. Ci sono poi il pop pianistico di “So Unkind”, momenti folk/psych (“The Beast VS The Ghost”, “Green Light / Red Light”) e altri dai toni più apocalittici come “People Eat People”, dove Garry si trasforma d’improvviso in un Matt Elliott meno disperato in chiave lo–fi. “Random” arricchisce il disco con una melodia semplice ed efficace e con morbidi arpeggi acustici che confluiscono in una delirante coda strumentale. Conclude il tutto “Dead + Gone”: bellissimo finale elettroacustico dall’incedere marziale, perfetto sotto il profilo chitarristico.
Garry Pitcairn, con il suo I’ll See You In The Trees, è dunque una delle migliori sorprese dell’anno musicale ancora in corso: un lavoro che amalgama bene le più disparate suggestioni e influenze, senza per questo risultare frammentario e impersonale. Non ci sono né eccessi né lungaggini, ogni minuto di musica è ben calibrato e studiato nel dettaglio, infatti il disco non si perde mai: fila via meravigliosamente in un unico flusso che concede generosi spazi alle divagazioni strumentali, ma che non toglie nulla alla melodia e alla forma canzone. Un attitudine che, quanto meno per chi scrive, ci rimanda nell’immediato al miglior Frusciante solista. E scusate se è poco.
Consigliatissimo.
email print