Garth Ennis – Goddess, ovvero l’universo femminile dal punto di vista maschile (cap. 2)

Creato il 20 settembre 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco
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  • Garth Ennis – Goddess, ovvero l’universo femminile dal punto di vista maschile (cap. 2)

Rosie Nolan, come compare sulla copertina del quinto numero della miniserie, illustrazione di Phil Winslade. © dc Comics/Vertigo

Tra gli autori mainstream, Garth Ennis è uno di quelli che prediligono le tematiche rivolte al pubblico maschile. Basta una rapida occhiata ai suoi lavori ed ecco emergere la ricorrenza di generi per ragazzi come il bellico, il western, l’horror, più un gusto particolarmente spiccato per la violenza, lo splatter e l’umorismo nero e sboccato. Tuffarsi nella lettura di uno dei suoi fumetti è come andare al pub con gli amici, sbronzarsi di Guinness e esibirsi in una serie di commenti coloriti sulle scollature delle cameriere.

Eppure…
Eppure è uno scrittore, e possiede una sensibilità che va oltre. La miniserie Goddess è la prova tangibile di ciò.
Pubblicata originariamente nel 1995 per la Vertigo (etichetta dc Comics rivolta a un pubblico maturo), in otto albetti oversized da 30 tavole ciascuno Goddess viene raccolta in volume negli Stati Uniti solo nel 2001, mentre è ancora ingiustamente inedita in Italia, e rappresenta, a livello di tematiche, il contrario di quanto ci si possa aspettare da lui perché, questa volta, la protagonista è la Donna, nell’accezione più ampia e universale del termine. 

Goddess infatti è la storia di Rosie Nolan, la custode di uno zoo londinese che dentro di sé nasconde uno spaventoso quanto imprevedibile potere, così incontrollabile da scatenare un terremoto in grado di separare la Scozia dall’Inghilterra la prima volta che si manifesta. Com’è ovvio pensare, un evento di tale portata non passa inosservato agli occhi delle alte sfere, e la cia le sguinzaglia contro una piccola quanto malmessa unità chiamata “progetto ki732”, mirata alla scoperta di fonti di potere psichico a uso militare e diretta dall’agente senza scrupoli Harry Hooks.
Comincia così una caccia alla donna di proporzioni planetarie che partendo dall’Inghilterra si sposta a Rio de Janeiro, New York, Boston e Alaska per finire poi nel gelido Polo Nord, il tutto con l’unico obiettivo di catturare la ragazza e appropriarsi delle sue misteriose capacità mentali.

Ma cos’è che rende Rosie così speciale e unica rispetto a qualunque altro personaggio Ennis abbia mai scritto?
Nonostante Goddess sia la prima, e seppure non succeda di frequente, questa non è l’unica volta che lo sceneggiatore irlandese ha realizzato storie con protagoniste femminili. Ricordiamo le due mini di Bloody Mary per la Helix/dc Comics, come anche la Witchblade medievale creata per il crossover Medieval Spawn/Witchblade, per finire con la sboccata protagonista di The Pro. Ma se nel primo caso la storia era incentrata su una donna indurita dagli anni e dalle guerre, una specie di uomo con le tette, negli altri due la caratterizzazione avventurosa o sopra le righe dei personaggi ne impediva un vero approfondimento psicologico, relegando le prove al genere del fumetto d’azione o della macchietta umoristica. Inoltre, tutti gli altri grandi personaggi femminili mai creati da Ennis, partendo da Kit Ryan, la “Miss Irlanda” prima fiamma di John Constantine nella sua run di Hellblazer, nonché protagonista del one-shot inedito in Italia Heartland, passando per la splendida Tulip di Preacher e la detective Debbie Tiegel di Hitman, per finire con l’ex-agente della C.I.A. Kathryn O’Brien del suo Punisher (anche se il personaggio, in realtà, è stato creato sulle pagine di Hitman con il cognome McCallister, e poi abilmente reintrodotto integrandolo nella continuity del Punitore come inside joke “ennisiano”), erano sì personaggi forti e multi sfaccettati, ma di contorno ai veri protagonisti della storia: gli uomini.

Goddess invece ribalta le prospettive a cui Ennis ci ha abituato, perché Rosie è una Donna nel senso più completo del termine. È dolce, comprensiva, materna, ma anche forte, risoluta e terribile nella sua ira. È, come suggerisce lo stesso titolo, una dea. Anzi, la Dea. 

L’idea alla base della storia è proprio questa: il mito della Dea Madre, creatrice e distruttrice, centro del culto di civiltà antiche che si reggevano sul matriarcato prima di venire soffocate dalla repressione dell’Uomo. Che la si voglia chiamare Gea, Iside, Selene, Cerridwen o una e trina nei miti greci sotto forma di Parche, il culto della Dea Madre è uno dei più antichi che l’umanità ricordi. Basta considerare le statuette del Neolitico raffiguranti donne dai tratti femminili particolarmente abbondanti e marcati come la Venere di Willendorf, una delle prime sculture mai rinvenute nella Storia che glorificava la donna come una divinità, amplificandone le peculiarità inerenti la capacità di donare la vita: il ventre e il seno. Per queste caratteristiche veniva spontaneo all’uomo antico trasfigurare la donna con la Terra, non solo nel suo aspetto di generatrice di vita, ma anche come fine ultimo dell’esistenza in quanto grembo materno a cui si tornava dopo la morte attraverso la sepoltura.
L’identificazione delle prime divinità nella donna trova spiegazione anche nel fatto che la stragrande maggioranza delle prime comunità si fondavano sul matriarcato: questo avveniva perché agli uomini spettavano tutti i lavori più pericolosi, come la caccia e la protezione da belve feroci o da altri gruppi ostili, mentre erano le donne quelle che si occupavano dell’educazione dei bambini e dell’organizzazione del lavoro. Il tutto almeno finché le minacce esterne non vennero arginate e grazie all’agricoltura si crearono i primi insediamenti stabili. Senza più il bisogno di confrontarsi giornalmente con la difesa della propria vita, l’Uomo prese coscienza della propria superiorità fisica e costrinse con la forza la Donna a essergli soggetta, imponendo un patriarcato che sopravvive ancora oggi nella società moderna. 

Nonostante questo, però, l’idea di una divinità femminile non è mai morta, anzi molte teorie sociologiche vedono in esso uno degli archetipi basilari della mente umana, del quale troviamo testimonianze lungo tutta la Storia. Ai nostri giorni, ad esempio, è particolarmente forte all’interno della cultura Wicca che, come suggerito dall’etimologia del nome, da una cinquantina di anni a questa parte tenta di riportare in auge tutta la tradizione delle streghe anglosassoni (“witches” in originale, appunto) e la loro centralità nello sviluppo nonché nella guida delle società antiche.
Come tutte le idee forti, il mito della Dea Madre è stato negli ultimi anni sdoganato dai mass media mondiali grazie a film, serie tv, opere letterarie e fumettistiche. Ricordiamo molti rimandi alla religione Wicca nel serial televisivo Buffy, l’ammazzavampiri, come anche in Streghe, seppure in una versione un po’ svilita, confezionata appositamente per il grande pubblico. Nel campo letterario spicca la centralità del culto del femminino sacro alla base del best-seller Il codice Da Vinci di Dan Brown, che tratta della teoria dell’assassinio simbolico della divinità femminile da parte della Chiesa Cattolica allo scopo di legittimare il patriarcato attraverso l’imposizione di una divinità maschile; a riprova di ciò Brown cita il dipinto di Leonardo da Vinci L’ultima cena, nel quale evidenzia l’intenzione dell’artista di rappresentare al fianco di Gesù Cristo, al posto di San Giovanni, una Maria Maddalena che sembrerebbe minacciata da San Pietro, rappresentante della gerarchia cattolica, e che potrebbe fungere da metafora del Santo Graal, stranamente mancante nel dipinto e simbolo dell’utero femminile nel suo essere coppa accogliente.

Un altro esempio letterario in cui si ritrova questo mito come strumento di denuncia alla società degli uomini è la Medea di Christa Wolf, che ripropone la tragedia di Medea di Euripide in chiave femminista. Lo stesso spirito critico anima il ciclo iniziale dell’Hellblazer di Jamie Delano, dove il drago ucciso da San Giorgio è identificato con la divinità femminile ancora una volta caduta sotto i fendenti dei rappresentanti del Cristianesimo in Terra, mentre il mito della Dea Madre è alla base di molti altri fumetti come la Dawn di Joseph Linsner, incentrata sullo scontro tra Aurora, Dea della Nascita, e Cernunno, il Distruttore, e trasfigurazione dell’eterna eppure indissolubile dicotomia tra Vita e Morte, o lo splendido affresco magico della Promethea di Alan Moore e J. H. Williams iii, che, specie nel ventunesimo numero della serie dedicato al Sephirot Binah, offre la descrizione più completa e totale della Divinità Femminile e di quello che ogni suo aspetto ha rappresentato nella Storia: 

Allora io sono Iside ed Ecate e Selene. Sono nera come la luna nascosta, come il grembo di ogni madre. Io accolgo, io ricevo. Sono Vergine per chi non mi conosce e Meretrice per chi mi conosce. Allora sono scarlatta e sono fertile, perché la mia passione è il fuoco annientatore che nessuno può contemplare. Allora sono Babalon. E dopo ancora cado nel Mondo. Allora sono Maria che nasconde suo figlio da Erode. Sono Iside che nasconde suo figlio da Set. E dopo ancora conosco il degrado. Allora sono la Donna Scarlatta, l’amante della Bestia che ha il nome di Crowley. Leha Hirsig, che si prostituisce per le vie di Parigi con la mia stella scavata nel petto. Così è che la madre diventa meretrice. [1]

Tutte opere, queste, che, rifacendosi allo stesso culto, portano avanti l’archetipo più radicato nella mente umana riguardante la Donna, che di volta in volta si rivede in tutte le sue sfaccettature, anche e spesso in contrapposizione tra di loro. Perché, come le Parche, la Donna è un essere contraddittorio, allo stesso tempo vergine, madre e megera, simbolo di purezza e bellezza, prostituta e donatrice di vita, nonché arcigna trasfigurazione della morte. Splendida, sensuale, oscena e totale.

Molti di questi aspetti li ritroviamo in Goddess, ma da un punto di vista del tutto ribaltato.
Perché, seppure Ennis per una volta decida di porre i riflettori sulla Donna, lo fa alla sua personalissima maniera. Accanto al personaggio di Rosie, infatti, introduce Jeff, un povero sfigatello di provincia che medita il suicidio per essere appena stato mollato dalla ragazza, e che viene salvato dalle fauci di una tigre di uno zoo proprio dall’intervento della protagonista. Incapace di mostrare spina dorsale e con la cia alle calcagna, Jeff viene trascinato in fuga attorno al globo assieme alla banda di Rosie, composta dal vecchio amico ed ex-militante di Greenpeace Mudhawk, una specie di Lobo animalista e pazzo furioso che adora la piccola come una sorella minore, e la sua ex Sam, alias Samantha Flynt, una pilota combattiva e risoluta, ma dal cuore d’oro e uno spiccato senso della giustizia.
Tra tutti, però, è attraverso lo sguardo di Jeff che si sviluppa il personaggio di Rosie, e con esso tutte le sfaccettature dell’archetipo femminile: da amica diventa cotta adolescenziale, passando dall’essere prima madre e confidente e poi amante, per finire con il divenire una creatura potente e vendicativa, e in ultimo una Dea, saggia e benevola.
È quasi come un tentativo di Ennis di tuffarsi all’interno della complessa e a volte spaventosa psiche femminile, cercando di razionalizzarne tutti gli aspetti nel loro manifestarsi spontaneamente, senza comprenderli mai appieno ma amandoli tutti, dal primo all’ultimo. Jeff diventa così il simbolo di un Uomo troppo inadeguato per capire come funzionano le donne, che si limita quindi a assistere impotente alle loro diverse sfaccettature con stupore, ammirazione e anche un po’ paura, affascinato e allo stesso tempo inesorabilmente attratto, come un bambino di fronte a una tempesta. 

Dal quinto numero di Goddess, pp. 4-5. © dc Comics/Vertigo. Trad. it. a cura dell’autore: “Potevo sentire Mud urlare: «Guarda il mare… la balena… le luci… le stelle… Guarda tutto quanto, per amor di Dio!» E sapevo che era splendido… Ma io stavo guardando Rosie”

Ma ovviamente, Ennis è sempre Ennis.
Quindi, mentre da un lato tenta di dare un senso al mistero della psiche femminile, dall’altro ci delizia con teste che saltano in aria, quartieri generali della cia ubicati nel sottoscala di una toilette pubblica, cacciatori di frodo fatti a pezzi da enormi squali bianchi, agenti di Scotland Yard che conducono interrogatori a colpi di martello e una deliziosa scena in cui la Regina Elisabetta sviene dopo aver visto al telescopio dei cadaveri fluttuare in orbita attorno alla Terra. E sangue, viscere e membra umane che deflagrano in ogni pagina.
Il tutto magistralmente reso da un Phil Winslade (Wonder Woman: Amazonia, Howard the Duck max, Shadowpact) al massimo del suo splendore, artefice di tutte le illustrazioni della storia e in grado di rendere perfettamente sia l’innocenza di Rosie che l’estrema violenza con cui Ennis è solito infarcire le proprie opere.

È proprio in questo che sta l’unicità di Goddess tra tutte le altre storie dell’autore irlandese: non è un cercare di cambiare cifra stilistica – un tradire se stesso – per raccontare qualcosa che non gli appartiene. Anzi, è più un interrogarsi su un tema del quale è profondamente affascinato ma che non saprà mai capire appieno. Come ammettere la propria sconfitta di fronte a qualcosa di così fuori dai propri schemi, così oscuro e esoterico, da non poter essere mai compreso e verso il quale si sentirà sempre inadeguato, ma che non smetterà mai di amare in ogni sua piccola contraddizione.
Tanto che anche nell’ultimo capitolo, in cui finalmente viene rivelata l’origine legata al mito della Dea Madre dei poteri di Rosie e la protagonista viene messa davanti a una terribile scelta – distruggere o salvare un’umanità che con le sue azioni ha messo a rischio l’intero pianeta –, la faccenda passa quasi in secondo piano rispetto a quello che gli occhi innamorati di Jeff ritengono più importante in lei: il suo essere divina e imperfetta allo stesso tempo, con il potere per cambiare le cose, i difetti per commettere errori e la volontà di imparare da essi e migliorarsi costantemente, come qualsiasi essere umano, come qualsiasi Dea, come Rosie Nolan.

Perché in fondo il punto dell’intera opera di Goddess è proprio svelato nelle battute con cui Ennis introduce il primo episodio: 

Questa è la storia di Rosie.
È una lunga storia sulla quale ho sentito diversi pensieri e teorie.
È stata chiamata una parabola femminista, un’epopea ecologista, ma si sbagliano tutti.
È solo la storia di quattro amici e delle loro pazze, folli avventure.
E, soprattutto, di Rosie.
La ricordo in molti modi… Come una falce di luna in una notte d’Estate… Una leonessa che vaga nella savana… Un delfino che salta su onde scintillanti…
O lo splendido levarsi del Sole sulle campagne al confine della Scozia, che bacia la brughiera con la luce mattutina dell’alba.
Questa è la storia di Rosie.
E così è come comincia.((2 Traduzione italiana a cura dell’autore.))

Bibliografia

  • Brown Dan, The Da Vinci Code, Doubleday Group, New York, 2003. Edizione Italiana: Il codice Da Vinci, Mondadori, Milano 2003.
  • Delano Jaime, AA.VV., Hellblazer nn. 1-24, dc Comics/Vertigo, New York, 1988- 991.
  • Ennis Garth, AA.VV., Hellblazer nn. 41-83, dc Comics/Vertigo, New York, 1991-1994.
  • Ennis Garth, AA.VV., The Punisher (max) nn. 1-60, Marvel Comics, New York, 2004-2008.
  • Ennis Garth, Conner Amanda, The Pro, Image Comics, Berkley (CA), 2002.
  • Ennis Garth, Dillon Steve, Heartland, dc Comics/Vertigo, New York, 1997.
  • Ennis Garth, Dillon Steve, Preacher nn. 1-66, dc Comics/Vertigo, New York, 1995-2000.
  • Ennis Garth, Ezquerra Carlos, Bloody Mary nn. 1-4, dc Comics/Helix, New York, 1996-1997.
  • Ennis Garth, Ezquerra Carlos, Bloody Mary: Lady Liberty nn. 1-4, dc Comics/Helix, New York, 1997.
  • Ennis Garth, McCrea John, Hitman nn. 1-60, dc Comics, New York, 1996-2000.
  • Ennis Garth, Peterson Brandon, Medieval Spawn/Witchblade nn. 1-3, Image Comics, Berkley (CA), 1997.
  • Ennis Garth, Winslade Phil, Goddess nn. 1-8, dc Comics/Vertigo, New York, 1995-1996.
  • Linsner Joseph Michael, Dawn: Lucifer’s Halo nn. 1-6, Sirius Enternaintment, Stanhope (NJ), 1995-1997.
  • Moore Alan, Williams J. H. iii, Promethea n. 21, dc Comics/America’s Best Comics, 2003. Edizione Italiana: Promethea vol. 4, Edizioni Magic Press, Ariccia (Roma) 2008.
  • Wolf Christa, Medea. Stimmen, Suhrkamp, Frankfurt-am-Main 1996. Edizione italiana: Medea. Voci, e/o, Roma 1996.

Note:

  1. Alan Moore, James H. Williams iii, Promethea vol. 4, Edizioni Magic Press, Ariccia (Roma) 2008, p. 76. [↩]
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