Un personaggio come il Mitico Thor (The Mighty Thor) non sembra essere un soggetto in sintonia con le trame e le ambientazioni spesso proposte da Garth Ennis. Dopotutto, un artista di fama internazionale è chiamato, prima o poi, ad applicare il proprio talento su serie a fumetti di diverso genere.
La miniserie Thor: Vikings, cinque albi spillati e disegnati da Glenn Fabry tra il 2003 e il 2004 (opera vista in Italia prima in un volume brossurato da 120 pagine, targato Panini Comics, poi ristampata all’interno del numero 15 della collana Dark Side ((Dark Side – Il lato oscuro dei fumetti è una collana realizzata da La Gazzetta dello Sport in collaborazione con Panini Comics nel 2006, contenente le storie di eroi maledetti come Batman, Wolverine e Hellboy.)) ), è l’ennesimo espediente per sponsorizzare la linea Max di Marvel Comics. È appurato che il fantasy non è un’ulteriore ossessione del ragazzo di Holywood e, per questo, Vikings esordisce con un’ambientazione in puro stile fantastico per poi affermarsi come un annebbiato puzzle di generi, dove il figlio di Odino si vede privato del proprio fascino e carisma e l’argomento principale torna a essere la guerra e le sue finalità.
Il primo episodio, intitolato L’oceano infinito (Endless Ocean), richiama le atmosfere delle cronache nemediane di Robert E. Howard ((Scrittore di fama mondiale che ha dato vita ai personaggi fantasy come Conan il Barbaro. Dark Horse pubblica regolarmente serie a fumetti che si ispirano alle sue storie.)) e subito si riscontra un uso strumentale di Thor nella scelta di introdurlo esclusivamente all’interno delle ultime tre tavole di questo capitolo d’apertura. Maggior spazio è dedicato invece all’antefatto, ambientato sulla Costa occidentale della Norvegia, nel 1003 d.C., dove un gruppo di Vichinghi ha appena saccheggiato un villaggio vicino, violentando ogni donna e trucidando ogni uomo e bambino. In primo piano appaiono gli atteggiamenti barbarici di Lord Harald Jaekelsson e del suo seguito: forza, orgoglio, virilità e volgarità continuano a essere costanti narrative nella narrazione di Ennis.
L’obiettivo ultimo di questi Vichinghi, accusati di tradimento nei confronti del re dalle altre tribù, è quello di intraprendere un viaggio oltre l’Islanda e la lontana Groenlandia, alla ricerca di un nuovo mondo che è sinonimo di libertà. La terra inesplorata non è soggetta ad alcuna regola, “nessuna stupida legge difende i diritti della plebe… là un uomo può saccheggiare ciò che vuole”, e si può vivere senza il fastidio di ricevere critiche o accuse. Libertà equivale ad assenza di ostacoli e alla possibilità di rifondare una società con una nuova cultura e una nuova morale, ma, purtroppo, l’eredità dei comportamenti scellerati di questi ribelli sarà pesante. L’ultimo sopravvissuto del popolo di Lakstad, il saggio del villaggio, prima di morire maledice infatti i sanguinolenti esploratori:
“Ti maledico Vichingo! Te e la feccia a bordo del tuo drago marino… Che gli dèi odano il mio incantesimo di maledizione… navigherete per mille anni, ma non raggiungerete la terra che cercate!”
Ennis introduce così l’elemento magico,
Ne Il regno del ferro (Kingdom of Iron), il secondo atto, viene reso noto come quell’incantesimo costituisca un’assurda condanna a morte per l’odierna New York. Il potere di Thor, dio degli uomini nordici, è vano nei confronti degli indistruttibili pirati Vichinghi, giunti dopo mille anni nella terra promessa. La libertà dalle leggi non basta. Viene proclamata indipendenza assoluta dal divino come evoluzione e realizzazione dell’umanità.
La città è messa a ferro e fuoco con estrema facilità. Ogni taglio di testa non ha nulla di drammatico, ma si trasforma in uno sport frizzante, giocato da scheletrici condottieri dal ghigno facile. Un Thor sconfitto e deriso trova conforto, come già accennato, in un prezioso alleato, Strange, il mago supremo del’universo Marvel, che mette a disposizione il suo sapere tra un bicchiere di whisky e una battuta fuori luogo: “Ho capito da subito che non avevo speranze contro di loro. Sono il dott. Strange, non il dott. Suicide”.
L’autore combatte la magia runica (il sangue del saggio del villaggio ha alimentato eccessivamente la runa usata per lanciare la maledizione, rendendo il nemico invincibile) con un pizzico di fantascienza.
Non mancano i viaggi nel tempo: il capitolo Il tempo come un fiume (Time like a River) è un ripasso degli eventi precedenti e l’occasione per suggerire una cura contro l’avanzata dei conquistatori. Infatti solo i discendenti diretti del vecchio dei Lakstad posseggono l’equivalente del potere del suo incantesimo, perciò soltanto con il loro apporto è immaginabile la risoluzione dell’invasione. Il dio e il mago selezionano e pescano in diverse ere temporali tre guerrieri legati dalla genetica: la vichinga e mascolina Sigrid, sempre pronta alla battaglia; il cavaliere teutonico Magnus dei Danesi; il tedesco Erik Lonnroth, pilota di caccia nella Seconda Guerra mondiale. I tre eroi approdano nel futuro trascinando i simboli che più li rappresentano, simboli simili, ma che nel tempo sono stati caricati di significati contrastanti: la croce cristiana, la croce nazista e il triskele.
Ennis così può concentrarsi sul suo argomento preferito: le guerre! Alla fine del quarto capitolo, Per la giusta causa (Fight the Good Fight), abbiamo composta un’armata inedita, dotata di uno spirito eroico, deciso, arrogante e autoritario: nell’ultima tavola non ci viene risparmiata la visione delle quattro figure complete, capitanate da un Mitico Thor con il braccio destro proteso in avanti a esclamare un preoccupante “A noi!”
L’opera si conclude con una sfilata di stili di combattimento e con la rivincita del dio del tuono sulla nuova nemesi. Al centro dello scontro, Erik, il nazista pentito che, manovrando il suo antiquato aeroplano da combattimento, un Messerschmitt 109, sfiora la Statua della Libertà, invocandone il perdono: un momento catartico, di completa riscossa. Sarà in Ci vediamo nel Valhalla (See You in Valhalla) che si spengono i millenari sogni di conquista di un depravato Braveheart ((Braveheart – Cuore impavido, film diretto e interpretato da Mel Gibson nel 1995. Racconta le gesta di William Wallace, condottiero scozzese vissuto tra il 1270 e il 1305.)) e si accende la fiaccola dell’eroismo. Morale della favola: per ogni guerriero valido e onesto c’è sempre un’accoglienza privilegiata nel Valhalla, dopo la morte.
In definitiva, Thor: Vikings è quel mosaico non complesso dove Ennis ha cercato di inserire un po’ di tutto, trascurando decisamente la caratterizzazione storica di Thor, forzando determinati eventi e servendo una sceneggiatura svogliata, poco impegnata, priva di trovate memorabili e studiata per allungare un brodo raffreddato: un classico sfruttamento commerciale del nome di un autore stimato.