Non basta accontentarsi di un parere professionale che, entro i suoi limiti, dice che qualcosa non è sbagliato, come hanno fatto gli psicologi piemontesi: bisogna creare le condizioni reali e concrete nelle quali l'uomo possa scoprirsi e intervenire positivamente sulla propria vita. Bisogna proteggere la scoperta di sé in età preadolescenziale, adolescenziale fino a quella adulta se davvero si tiene alla persona. Questo non scardina il matrimonio uomo-donna: scardina la sua assolutezza, la sua '"necessarietà", contrapposta al rarissimo celibato di chi, laico o sacerdote, prende i voti o al modello pseudoromantico della vita dissoluta. Per non parlare del pregiudizio contro gli "sfigati" che non hanno trovato uno straccio di compagno-antinoia (una delle più velenose malevolenze che esistano).
Se il matrimonio uomo-donna cessa di essere il modello, non verrà a corrompersi nessuna società, perché ciò a cui pensano i difensori di quel tipo di famiglia non è una società reale, loro credono piuttosto a una roccaforte celeste ideale, ma molto poco concreta e ancor meno carne e sangue (a meno di non considerare infetti sangue e carne), che impongono a tutti. Nessuno, lo dico subito, ha bisogno di un'estensione del matrimonio, quello omosessuale non lo è e, a mio avviso, non deve esserlo nel senso convenzionale del termine. D'altronde, il problema non è l'istituto giuridico in quanto tale: quello che semmai conta è il fatto di essere un portale d'accesso alla "famiglia". Un nucleo affettivo viene costruito da tutti coloro che con consapevolezza, dignità, amore e tutta la forza d'animo necessaria scommettono su un futuro insieme di sostegno reciproco e condivisione di vita e valori. E non trovo ragioni valide per cui tutto ciò non possa essere normato.
Nessuno può dire a una persona cosa debba fare della sua vita a un livello tanto profondo, forse ancor meno nella forma in apparenza saggia, bonaria e prudente del "consiglio". Andare in fondo a se stessi è un'avventura e richiede, insieme alla cautela, una certa consuetudine all'ignoto. Se c'è una cosa che mi ha sempre colpito è la scarsa riflessione di molti eterosessuali (specialmente maschi) sulla propria sfera intima: sì, non si fa altro che fruire sesso, che parlare di sesso, magari delle proprie "prodezze", ma l'accesso al proprio desiderio viene confinato alle facili opzioni perlopiù dicotomiche (bionde/more; magre/formose ecc.). L'ovvietà di cui viene ammantato il desiderio eterosessuale si riflette in tanti comportamenti spesso disastrosi dell'uomo adulto. Basterebbe pensare che riflettere sulla propria sessualità non significa fungere da display di pulsioni contraddittorie che si susseguono, ma mettere ordine, poco alla volta, senza fretta, con amore a tutto ciò che si va scoprendo di sé.
La Chiesa scoraggia qualunque riflessione su se stessi che possa portare a un'armonia maggiore nella persona (con grande beneficio del matrimonio, tra l'altro). L'esasperante battaglia contro le teorie dei generi si è manifestata da pochissimo, stando a quanto dice «Repubblica», a Milano: parrebbe che il responsabile della Diocesi ambrosiana, Giovan Battista Rota, tramite un portale riservato ai docenti di Religione, avrebbe chiesto dove si trattano tematiche gender «in una vasta tesa a delegittimare la differenza sessuale affermando un’idea di libertà che abilita a scegliere indifferentemente il proprio genere e il proprio orientamento sessuale». La solita teoria del complotto, che vede ovunque potentissime lobby gay (dalle quali io però non mi sento assediato), viene ironicamente rovesciata dal furtivo e colpevole ritiro della richiesta a seguito della diffusione sui mezzi di stampa di questo singolare invito ad atti simil-delatori.
La distanza di molte persone come me, tutt'altro che anticlericali, dalla Chiesa sta proprio nel segreto manifesto con il quale si opera in certi casi, nella testardaggine con la quale si occulta l'omofobia e, in genere, si nega agli altri la possibilità di una comunicazione alternativa sugli aspetti più importanti della vita. È comprensibile e legittimo l'entusiasmo di divulgare una «buona novella», di condividerla con il maggior numero possibile di persone, ma tale «buona novella» è comunque articolo di fede e, in quanto tale, non è condivisibile in blocco e da tutti, con tutte le sue implicazioni "necessarie". Che poi qualcuno, più realista del re, arrivi a provare indignazione per dei preservativi a un festival della scienza dà la misura delle colpe enormi e concrete che ha la Chiesa nel mondo attuale.
Si dirà: esiste una pubblicità ammiccante, un linguaggio comune dei media che, facendo appello alla "pancia della gente", contrasta con i dettami della Chiesa e con il "volere di Dio". È vero: ma è così perché sul piano mediatico è glamour, è cool, insomma funziona. Di contro, nessuno come la Chiesa vanta un così tentacolare e prolungato radicamento sul territorio e un contatto così diretto e continuo con le persone. E quando i prelati parlano in pubblcio, quasi sempre al posto dell'evangelizzazione ci troviamo con un nucleo di nozioni prêt-à-porter che diventano a loro volta dogmi, principi non negoziabili. Se esiste una verità sull'uomo, nessuno padroneggia questa concezione antropologica al punto da poterla imporre, in forza di qualsiasi eredità, al resto del mondo. Invece rappresentanti del Vaticano (o comunque, a livello locale, del clero) ignorando, o piuttosto proprio sottolineando, la posizione di potere che detengono, influenzano un numero incredibile di persone e dunque hanno un forte impatto politico concreto.
La cosiddetta "libertà di pensiero" alla quale si appellano sentinelle & co. sta tutta in questo solco: così però si contrappone la libertà di tutti alla "verità" di alcuni, il rischio concreto per l'incolumità di donne e uomini reali alla possibilità teorica di un qualche danno alla cosiddetta famiglia naturale. Sono irresponsabili coloro che vedono nel concetto stesso di legge antiomofobia (in qualunque, non solo in quella di Scalfarotto) un bavaglio: strano pregiudizio, il loro, in base al quale la libertà di pensiero deriverebbe dal poter porsi in vantaggio e in stato di superiorità rispetto ad altri; e ignobile arroganza, quella di accaparrarsi il monopolio dei valori, come se scaturissero soltanto da quel credo. Il mondo, la vita, la morte non sono appannaggio esclusivo di quei cattolici che vogliono essere la voce della Chiesa. La vita, a un certo punto, prende il megafono ed erompe da tutti, da tutti come può: a quel punto sarà chiassosa, ma niente potrebbe impedirlo dopo tante costrizioni.
E se qualcuno si offendesse per questo mio insistere sul termine "Chiesa", come se la chiesa fosse una realtà e non un "aperto confronto sui valori", io invece mi chiedo in nome di quale perversione una "libera dialettica al suo interno" possa essere considerata da alcuni un salvacondotto per ogni pubblica intemperanza di molti cattolici e debba tradursi nelle catene di una condotta monolitica e senza appello per tutti gli altri. Un pluralismo a senso unico è uno scellerato privilegio di chi si impone sul piano mediatico con inesorabili sentenze (ragion per cui le dichiarazioni di questo Papa - da molti cattolici considerato puro marketing - appaiono una novità che lo rende semplice e amabile). Sarò banale, ma mi sembra che il bello del pluralismo sia di saper dialogare con tutte le altre voci a partire dalla propria problematicità. Per "Chiesa", dunque, ho inteso qui chi parla a suo nome identificandosi con la Verità, la voce più grossa e paradossalmente la più mondana. Da questa Chiesa, col volto arcigno dei censori e con quello sornione dei "cauti" reazionari, io mi tengo ben lontano, una volta e per tutte.
P.S. Epilogo (?) della questione della diocesi di Milano