Il punto 7 della risoluzione sulla «Parità dei diritti fra uomo e donna», «si rammarica dell’adozione da parte di alcuni stati di definizioni restrittive di “famiglia” con lo scopo di negare la tutela giuridica alle coppie dello stesso sesso e ai loro figli».
342 eurodeputati hanno votato contro lo stralcio di quella frase. 322 hanno votato sì.
Non che siano numeri che mi fanno essere ottimista. Basta una svolta a destra di un solo Paese per farci tornare indietro, uno scenario che non voglio nemmeno evocare.
Piuttosto rilevo le dichiarazioni di due esponenti del PD.
Silvia Costa, che si è astenuta e che in sostanza ribadisce le posizioni espresse da Bindi e Bersani: «l’unione fra persone dello stesso non può essere equiparata a una famiglia, ma si possono riconoscere dei diritti legato alla convivenza».
E quelle di Debora Serracchiani: «Il Parlamento sa guardare lontano, delineando una definizione di famiglia che prospetta il futuro e che ritrae molte situazioni esistenti».
Tanta strada da fare. Molta. Qui si parla di famiglie – lo dico alla Costa – e si parla di presente, non di futuro, questo lievissimo appunto lo sollevo a Debora che si è sempre dichiarata a favore dei matrimoni gay e vorrei che non fosse troppo indirizzata a mediare le proprie posizioni su quelle ancora confuse del PD. Anzi, abbiamo bisogno che la nuova generazione del PD dica chiaramente la parola matrimoni.
Amaramente, è l’unico modo per raggiungere la mediazione. Alla quale si è subito rassegnato anche Nichi Vendola: “il matrimonio gay non è nel programma del centro sinistra, le unioni civili sì.”
Insomma, siamo ancora e di già carne da macello prima ancora di iniziare a discutere.