Gene Wolfe: L’ombra del torturatore

Creato il 03 febbraio 2013 da Martinaframmartino

Qui mi fermo. Se non intendi proseguire insieme a me, lettore, non ti posso biasimare. Non è una strada facile.”

E qui mi fermo anch’io, il mio cammino con Gene Wolfe e il ciclo Il libro del nuovo sole si chiude qui, al solo L’ombra del torturatore. Queste parole sono quasi le ultime del romanzo, nelle due pagine successive Wolfe finge di essere un traduttore che ha ripreso la storia di Severian e l’ha tradotta per presentarla ai lettori così come avrebbe voluto il protagonista. La saga prosegue con L’artiglio del conciliatore, e quel misterioso manufatto ha già fatto la sua comparsa in questo primo volume, La spada del littore, La cittadella dell’autarca e Urth del nuovo sole

Il romanzo si presenta con una citazione entusiastica di Neil Gaiman, che definisce Wolfe il miglior scrittore di fantascienza e fantasy, ma come sempre queste citazioni lasciano il tempo che trovano. Io e Gaiman possiamo avere gusti diversi, mi è già capitato di trovare brutte opere che a scrittori che adoro erano piaciute parecchio. O quella frase può essere stata scritta, o detta, anni fa, perché magari Gaiman ha letto le opere di Wolfe quando era giovane e non aveva ancora letto tanti libri, perciò il giudizio può essere stato influenzato da questo. Non dico che sia andata così, è solo una possibilità. Alcuni mesi fa ho letto, e commentato, La pietra magica di Brisingamen di Alan Garner. Il libro è del 1960, e se io l’ho trovato carino anche se un po’ ingenuo, immagino l’effetto straordinario che deve aver avuto all’epoca sui suoi lettori. A me sembra ingenuo solo perché lo leggo con il senno di poi, dopo aver letto valanghe di opere che si sono ispirate a lui, e in un’epoca in cui lo stile di scrittura è cambiato parecchio. In misura minore lo stacco di tempo si sente anche con Il signore degli anelli di J.R.R. Tolkien, anche se magari i tolkieniani più accaniti non lo riconoscono. E poi, Gaiman ha davvero fatto quell’affermazione? Magari in traduzione l’editore l’ha un po’ modificata. In un caso mi è capitato di vedere una casa editrice (non Fanucci) che ha preso una frase di una mia recensione pubblicata su FantasyMagazine e l’ha lievemente modificata per renderla un po’ più enfatica, poi l’ha stampata sull’edizione economica del romanzo. L’editore non si è limitato a scegliere la frase migliore, l’ha proprio cambiata, perciò quante modifiche possono essere fatte in una traduzione della quale chi ha fatto la dichiarazione è quasi certamente all’oscuro?

Va bene, fin qui ho parlato di altro e non del libro. Questo è science fantasy, genere al quale appartengono, per esempio, molti dei romanzi darkovani di Marion Zimmer Bradley. C’è una commistione di elementi fantasy e fantascientifici. Qui quello che predomina è l’atmosfera fantasy, ma gli altri elementi hanno la loro importanza.

Per tanti anni ero stata lontana da questa saga per via del mestiere del protagonista, apprendista torturatore. La cosa continua a farmi schifo, comunque i particolari spiacevoli sono abbastanza ridotti e quindi sono sopportabili. Il problema è che mi sono annoiata. Lo stile in sé non è male, chiaro e scorrevole, però tutta la vicenda mi è sembrata inconcludente. Evidentemente non sono per le avventure picaresche, per i viaggi conditi da intoppi apparentemente privi di significato. Tutta la vicenda per la quale Severian ha avuto al fianco Agia mi è sembrata insensata e monotona, un girare intorno alle cose senza fare nulla. Il momento in cui si scopre cosa c’è dietro al duello in realtà è stato interessante, ma è davvero troppo poco. Un duello con una pianta, poi? Ma siamo seri, anche se le foglie sono avvelenate il tutto mi è sembrato estremamente ridicolo. Non so cosa avrei pensato se avessi letto questa storia vent’anni fa, quando avrei potuto farlo, ma dubito che l’avrei apprezzata di più.

Mi è piaciuto però il discorso sul libro marrone che raccoglie i miti del passato, peccato che sia durato troppo poco. I miti sono le chiavi dell’universo, e “Una chiave sostiene che tutto quello che succede ha tre significati. Il primo è il significato pratico (…) questo significato è vero e importante quanto gli altri due. Il secondo è il riflesso del mondo circostante. Ogni oggetto è in relazione con tutti gli altri, perciò il saggio può arrivare a conoscere gli altri studiando il primo. Questo può essere definito il significato dei veggenti (…) il terzo significato (…) è quello transubstanziale” (pag. 262).

Discorso interessante che meriterebbe di essere approfondito, se solo ne avessi tempo. Comunque mi fa suonare in testa certi campanelli d’allarme che sussurrano Robert Jordan… Robert Jordan…

Non chiedetemi come facciano i campanelli a sussurrare, è solo un’immagine. Io dico spesso che i giornalisti sono scrittori mancati che a volte riversano la loro frustrazione per non aver potuto dedicarsi alla narrativa scrivendo articoli un po’ troppo fantasiosi e ricchi di immagini esagerate, per una volta me ne concedo una anch’io. Robert Jordan e Siuan Sanche. Forse Moiraine Damodred, ma credo Siuan anche se non ricordo dove. C’è una legge sulle conseguenze delle azioni, giusto? Ogni azione ha tre conseguenze impreviste e almeno una spiacevole? Non è proprio la stessa cosa, ma qualcosa mi dice che Jordan in questo caso ha fatto buon uso di quel che ha scritto Wolfe, o qualche autore precedente che entrambi hanno letto.

Superato questo, è tornata la noia anche se alcune scene finali mi hanno fatto venire in mente i saltimbanchi del Settimo sigillo di Ingmar Bergman. Ma, diciamolo, Bergman è tutt’altra cosa, e malgrado una comune atmosfera picaresca e il fatto che in entrambi i viaggi ci siano numerosi intoppi Il settimo sigillo è un capolavoro, L’ombra del torturatore no. Può anche essere stato un romanzo importante per il genere fantasy, ma i miei gusti sono orientati su ben altro.



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