Ho fatto colazione al bar stamattina, con Marco. Siamo coetanei. Lui è un ragazzo sveglio, intelligente; purtroppo è anche un ragazzo rassegnato. Il che è grave se hai 27 anni e tutta la vita davanti. Marco mi parla di furbi e poveracci, di come i primi cerchino di sfruttare i secondi, e di come vincano (qualunque cosa significhi), ogni volta che ci riescono. Mi racconta di come i suoi sogni non si realizzeranno mai, di quanto sia conveniente essere egoisti, e favoleggia di quando anche lui riuscirà a trovare qualche poveraccio da sfruttare. Il caffé mi va di traverso, ma adesso voglio capire:
- “Mi spieghi perché non te ne frega nulla del tuo futuro?”
- “Del futuro?”
- “Hai 27 anni e parli come un ottantenne”
- “Non so. Non amo investire le mie risorse in cose che non mi diano successo”
Non mi ricordo cos’ha studiato, ma a sentirlo si direbbe economia, gestione aziendale, marketing. Quando hai spesso a che fare coi numeri, può capitare che ti dimentichi di essere una persona, in mezzo a tante altre persone. “Investire le mie risorse”, e convincersi definitivamente di essere solo risorse umane. Mi guarda dritto negli occhi:
- “Il mondo non lo cambio io. Se succederà, il mio apporto sarà ininfluente”
Sentirsi impotenti di fronte agli eventi? arrendersi?
- “Pensi che non si possa proprio far nulla?”
- “Le cose sono sempre andate così. La rassegnazione mi permette di pensare a cose più concrete”
- “Più concrete del mondo in cui vivi?”
- “Te l’ho detto: il mondo non lo cambio io e, se succederà, il mio apporto sarà ininfluente”
Alla fine ho realizzato.
Rassegnato, dice lui.
Un modo come un altro per dire che gli pesa il culo.