venerdì 16 novembre 2012 di Valentina D'Aleo
Care lettrici e, orizzontalmente1, cari lettori cresciuti tra gli anni ’80 e gli anni ’90 delle improponibili tute in cerata, vi siete mai chiesti il perché di un’evidente deviazione della parte sana del vostro cervello verso altre forme (ma tutte condivisibili su Facebook)? Con umilté, vi guiderò al recupero memoriale di determinati avvenimenti che hanno, in maniera irreversibile, (de)formato la mia mente e in cui molti di voi si rispecchieranno.
Quando ero poco più complessa di un protozoo, non avevo ancora accesso alla televisione. Non per ragioni educative, ma semplicemente perché di tv ce n’era una ed era sempre occupata dalla faccia di Purgatorio del poliedricamente statico Charlton Heston, prima in versione Mosé e poi in versione Giuda Ben Hur. Dunque il buon padre era solito leggermi un libro, che all’epoca mi appariva gigantesco, una raccolta delle fiabe di Andersen. Non sottovalutate mai il potere delle fiabe. Fu allora che la tragedia fece capolino nella mia mente innocente, corrompendola per sempre. Ho imparato che le principesse erano sempre bionde e bellissime (quindi io al massimo sarei potuta essere la figlia segreta di Mami di “Via Col Vento”) e non riuscivano a dormire con un pisello sotto sette materassi (anche se Biancaneve dormiva con sette piselli su un materasso); ho scoperto che non importa se vendi la tua coda alla strega del mare per stare con il tuo amore… lui ti lascerà e non ti resterà
Per fortuna arrivarono le videocassette di Walt Disney, e lì, dove i principi condividevano con me la sciagura di dover portare la calzamaglia, cominciai a credere che il bene vince sempre e che Andersen si era sbagliato. Sfortunatamente, per un compleanno, mi regalarono la vhs di “Bambi”.
E così l’angoscia e il terrore piantarono il loro vessillo nero sul mio cranio inclinato.
I cartoni animati che si vedono adesso non insegnano nulla. Quelli per i più piccoli sono un inno alla lobotomia post-natale e quelli per i grandi sono un mix letale di follia nipponica e sangue. Noi siamo stati più fortunati, noi avevamo Lady Oscar, la cui sigla esordiva con un allegro “il BUON padre voleva un maschietto ma, AHIME’, sei nata tu”; avevamo sostanzialmente cartoni pieni di casi umani e disgrazie, che ci hanno consentito di essere, almeno per un certo periodo di tempo, vicini al prossimo che soffre. Next! La morte di Anthony che cade da cavallo in Candy Candy, Milly che, un giorno dopo l’altro, veniva inculata con qualcos’altro, Lovely Sara (da cui i genitori trassero spunto per inventare la punizione del “ti mando in collegggio”), le disgrazie di Charlotte e il fratellino di Annette che si fracassa le ossa nel burrone, quella spaccamaroni di Heidi e, infine, il bambino più fortunato del mondo, il dolce Remì de ‘sta cippa. Orfani, orfanotrofi, ingiustizie, speranze infrante, sofferenza. Per la serie: bambini, benvenuti sulla Terra!
I genitori non si rendono conto di quante delle nostre ombre, delle nostre insicurezze derivino da quel tipo di film. Non dimentichiamoci di “Bernadette”, la pazza che vide la Madonna che, per premiarla, le fece venire un cancro dolorosissimo alle ginocchia. Con estrema vergogna, ammetto che le suore del Maria Immacolata di Lourdes erano riuscite a farmi vedere simili cose come benedizioni. Ma il misticismo fu scatenato nella mia mente di bambina di sette anni, dalla visione di “Fratello Sole, Sorella Luna” di Zeffirelli. Fu allora che cominciai a parlare agli scravagghi e schippiuna3, abbracciare gli alberi e salvare i vermi dalla strada.
Certe cose ti segnano, non c’è che dire.
Il processo è irreversibile e tu, che hai ancora dentro ricordi di infanzia costellata dalla presa di cosienza che il mondo è un posto che sembra quasi ideato da Stephen King e che gli uccellini non ti aiutano a vestirti ma ti cagano sulla spallina del vestitino buono da cerimonia fatto dalla nonnina, ti ritrovi alla finestra, a canticchiare “Gli anni” degli 883 e capisci che qualcosa, nel tuo processo evolutivo, è andato storto.
NB: La parte dell’adolescenza è stata volutamente rimossa in quanto rievocare QUEI traumi (faccia cessiforme, cerchietti portatori di orecchie a sventola e disgusto del mondo maschile verso di te) mi avrebbe riportato tra le braccia del principe azzurro della donna moderna: lo psichiatra.
1cit. dal personaggio di Antonio Albanese, Cetto la Qualunque.
2 termine palermitano che indica la sfiga nelle sue sfaccettature.
3 Dal siciliano, scarafaggi e gechi.