nel saper gestire e regolare le proprie emozioni, nel fidarsi dei propri sentimenti, nell’avere un’alta stima di sé, nel risolvere i problemi, nel creare delle amicizie e nello stare bene insieme ai coetanei. Si perchè la conquista dell’autonomia di un figlio passa sicuramente dallo stile educativo che i genitori adottano nei loro confronti.
In quale stile ti riconosci?
Partiamo da un classico esempio di conflitto con i propri figli nel quale ogni genitore possa riconoscersi:
Mamma Giulia (o papà Matteo) è già in ritardo per andare al lavoro mentre cerca di convincere sua figlia Chiara, di tre anni, a mettersi la giacca per portarla all’asilo. Dopo una colazione fatta in fretta e furia e una battaglia su quali vestiti indossare, anche Chiara si è innervosita. In realtà non le importa che la mamma abbia un appuntamento al lavoro tra meno di 40 minuti. Vuole stare a casa a giocare e glielo dice. Quando la mamma gli risponde che questo non è assolutamente possibile, Chiara si butta a terra, scalpitando. Si sente triste e arrabbiata e si mette a piangere.
Come risponderà mamma Giulia per risolvere la questione e che modalità di comportamento metterà in atto? E tu invece, genitore che stai leggendo, come ti comporteresti?
Analizziamo di seguito i diversi stili di risposta che mamma Giulia mette in atto e che, secondo il dott. Gottman, sono i più comunemente adottati dai genitori (mentre stai leggendo, pensa all’interazioni con i tuoi figli e cerca di notare cosa sembra simile al tuo stile e cosa c’è di differente nello stile del vostro rapporto):
1 – Genitore non curante
Giulia dice a Chiara che la sua ritrosia ad andare all’asilo è ridicola e che non c’era nessun motivo per arrabbiarsi e intristirsi. Poi probabilmente cerca di distrarla dai pensieri tristi lusingandola con una caramella o parlandogli delle attività divertenti che la maestra certamente avrà preparato per lei.
Il genitore in questo caso non si cura delle emozioni negative (tristezza e collera) del figlio, anzi le ignora e le sottovaluta. Magari risolve si al momento, ma presto si ritroverà a dover affrontare il medesimo problema in un’altra situazione.
2 – Genitore censore
La mamma rimprovera Chiara per il suo rifiuto a collaborare, dicendogli che è stanca del suo comportamento infantile e magari la minaccia promettendogli una sana sculacciata.
In questo caso il genitore critica l’espressione di sentimenti negativi del figlio, fino ad arrivare a rimproverarlo o a punirlo per queste sue manifestazioni emotive.
3 – Genitore lassista
La mamma abbraccia Chiara insieme alla sua rabbia e alla sua tristezza, empatizzando con lei. Ma poi si trova a corto di idee sul da farsi. Non vuole punirla, tantomeno minacciarla, ma neanche rimanere a casa è una soluzione da considerare. Forse, alla fine, trova un compresso: “Ok, giocherò con te dieci minuti, ma poi usciamo di casa senza fare storie ok?“.
Questa soluzione magari è efficace fino al mattino seguente quando il problema con molta probabilità si ripropone. In questo esempio infatti il genitore è permissivo, ossia accetta le emozioni del figlio e si dimostra anche empatico, ma non riesce a offrirgli comunque una guida o a porre dei limiti al suo comportamento.
4 – Genitore empatico
Vediamolo all’opera:
Mamma: Mettiti la giacca Chiara. E’ ora di uscire
Chiara: No! Non voglio andare all’asilo!
Mamma: Non ci vuoi andare? Perché?
Chiara: Perché voglio stare a casa con te a giocare
Mamma: Veramente?
Chiara: Si. Voglio stare a casa.
Mamma: Penso di capire come ti senti ora. Ci sono certe mattine che anch’io vorrei rimanere a casa con te, a guardare i libri insieme, a giocare con te, invece di uscire di casa per andare al lavoro. Ma sai una cosa? Ho dato la parola a quelli dell’ufficio che sarei stata li alle 9, e non posso mancare alla parola data.
Chiara: (Inizia a piangere) Non è giusto! Uffa! Non ci voglio andare!
Mamma: Vieni qui Chiara (la abbraccia). Mi dispiace tesoro, ma non possiamo rimanere a casa. Scommetto che è questo che ti fa arrabbiare vero?
Chiara: Si
Mamma: E sei anche un pò triste, vero?
Chiara: Si
Mamma: Anch’io sono un pò triste sai? (la lascia piangere un pò tenendola stretta e lasciando che sfoghi le sue lacrime). Senti un pò cosa facciamo. Pensiamo a domani, che è sabato e non dovremo andare al lavoro e all’asilo. Possiamo passare tutta la giornata insieme. Cosa ti piacerebbe fare domani?
Chiara: Mamma possiamo fare i biscotti e guardare i cartoni?
Mamma: Certo! E’ una bellissima idea! E che altro?
Chiara: Possiamo anche andare al parco, quello nuovo dove ci sono quei scivoli grandi?
Mamma: Va bene! Ma adesso è ora di uscire, d’accordo?
Chiara: Si mamma… (escono).
Il genitore in questo caso risponde empatizzando con la figlia, diventando consapevole dell’emozione del bambino. Riconosce in quel sentimento un’opportunità di vicinanza e di insegnamento. Ascolta con empatia, e convalida i sentimenti della figlia e la aiuta a trovare le parole per definire le emozioni che sta provando. Pone infine dei limiti, mentre esplora le strategie per risolvere il conflitto in questione.
L’empatia: fondamento per ogni genitore efficace
Da quanto è emerso, si evince che i genitori dovrebbero certamente porre dei limiti ai comportamenti dei figli, ma sicuramente non alle loro emozioni o ai loro desideri. Quindi non solo l’empatia ha importanza, ma è il fondamento per ogni genitore efficace.