Ci riflettevo la scorsa notte dopo che l’arrivo del sonno aveva allentato la presa di mia figlia dalla mia mano. L’amore di genitore è proprio su un piano diverso da quello di figlio. Almeno questa è la conclusione del tutto personale alla quale sono arrivato.
Non so da cosa dipenda.
Forse per l’onore che implica avere un proprio esclusivo appellativo, “babbo” e “mamma”, che solo loro possono attribuirci. Noi non li chiamiamo “figli”, ma non credo che dipenda dal fatto che potrebbero essere più di uno, ma con nomi o diminutivi che non sono nostri esclusivi. Per noi no, solo un figlio può chiamarti “babbo”, cancellando per loro quel nome che ti ha identificato, e ti identifica, per tutti gli altri.O forse per l’onere di aver deciso di “mettere al mondo” un’altra persona. Una nostra decisione che riguarda un altro. Credo che sia un pensiero che tutti i figli hanno avuto, e che qualche volta si è addirittura tradotto in una frase urlata in faccia, in un momento di particolare tensione: “Non te l’ho chiesto io!”. Ed è vero. Forse dipende tutto da quella piccola verità che ci portiamo dentro inconsciamente e dalla relativa responsabilità che sentiamo nei loro confronti. O ancora perché con i figli si parte da zero, non si portano dietro incomprensioni, recriminazioni o delusioni di tanti anni. Non li troviamo già adulti, come ci trovano loro, ma li vediamo crescere. Li abbiamo visti piccoli e indifesi. Forse con loro è tutto più facile rispetto a quanto è con noi genitori.
Forse aveva ancora ragione mia nonna quando diceva “Ricordati, la vita è una ruota”. In certe fasi ci passiamo tutti, ma siamo temporalmente sfasati. Per questo è difficile capirsi.