George R.R. Martin, Daniel Abraham e Tommy Patterson: A Game of Thrones volume 3

Creato il 18 giugno 2014 da Martinaframmartino

In copertina campeggia il nome George R.R. Martin. Sotto, con caratteri altrettanto alti, c’è scritto A Game of Thrones. E allora perché non sono soddisfatta? Lo sapevo ancora prima di prendere in mano il libro che non lo avrei gradito, ma a volte sono testona e vado avanti lo stesso. Potremmo dire che per completezza devo conoscere anche le opere che non mi piacciono, come l’adattamento del primo romanzo delle Cronache del ghiaccio e del fuoco in graphic novel.
Questa è la terza raccolta di sei fascicoli, con ogni fascicolo che si concentra su tre-quattro capitoli il che significa che il volume di quasi 200 pagine è la trasposizione di 19 capitoli del romanzo, dal 39 al 57. Si inizia con il sogno di Eddard dei sette contro tre e si conclude con Varys che pone un simpatico dilemma proprio a Eddard. La situazione, in queste pagine, cambia radicalmente rispetto a quella che conoscevamo all’inizio. Siamo nella seconda metà del romanzo, e i nodi iniziano a venire al pettine.
Il romanzo mi aveva donato emozioni altissime, il graphic novel no.
Vediamo gli altri nomi, quelli che in copertina non compaiono ma che hanno un’influenza determinante sul prodotto.

Adattamento di Daniel Abraham. Di Abraham ho letto La città dei poeti e, per quanto l’ambientazione fosse originale e la storia ben costruita, erano più le parti in cui mi annoiavo che quelle in cui mi divertivo, tanto è vero che avevo deciso di non leggere gli altri romanzi del suo Long Price Quartet. Fanucci ha scelto di non tradurli, un caso di saga abbandonata che non mi tocca particolarmente. Mi spiace per chi vorrebbe leggere i seguiti, ma aveva davvero venduto troppo poco.

Magari ora potrebbe funzionare meglio, specie se l’editore riuscisse a valorizzare meglio il nome di Martin associato a quello di Abraham. Lo so, Fuga impossibile firmato congiuntamente da Martin, Gardner R. Dozois e Abraham non aveva venduto poi così tanto, ma dal 2008-2009, anni della pubblicazione del romanzo nelle edizioni rilegata e tascabile, la fama di Martin è aumentata parecchio. Prima o poi farò un discorso sugli effetti strani che la fama di Martin ha avuto su altri libri, cose tipo la fascetta allegata al Demone sterminatore di Vincent Spasaro che riportava un elogio (cito a memoria) di Alan D. Altieri, traduttore delle Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin. Con, fra l’altro, il particolare strano di sottolineare una delle attività di Sergio Altieri, quella di traduttore – di una saga a caso, chissà come mai – e l’uso del suo pseudonimo come romanziere. Altro effetto collaterale? A metà anni ’80 Sperling & Kupfer aveva pubblicato i primi volumi della serie di romanzi storici di Maurice Druon. Un decennio più tardi li aveva ripubblicati, ma a un certo punto sono andati tutti fuori catalogo. Tempo fa Martin li ha elogiati, dicendo che è lì che c’è il vero “gioco del trono”, e ha scritto l’introduzione della nuova edizione americana. Si era lamentato pure che l’ultimo volume non era mai stato tradotto dal francese, rendendogli impossibile completare la lettura. Non ha idea di quante volte in Italia non si riesca a leggere la fine di opere in inglese. Un americano riesce a lamentarsi delle mancate traduzioni…
In autunno i volumi di Druon verranno ripubblicati da Mondadori, spero con l’introduzione di Martin e sono sicura che il suo elogio campeggerà da qualche parte in copertina come già avviene nell’edizione americana. Marketing, certo, ma come dare torto all’editore? Ovvio che io leggerò almeno il primo, poi valuterò come comportarmi. Ho scoperto i romanzi storici diversi anni prima del fantasy, e anche se la mia preferenza va a quest’ultimo genere non ho dimenticato il primo. Per la cronaca i libri di Druon dovrebbero intitolarsi Il re di ferro, La regina strangolata e I veleni della corona.

Va bene, Abraham mi è piaciuto in Fuga impossibile, anche se è impossibile separare nettamente il suo lavoro da quello degli altri autori. Ha scritto certamente la conclusione, ma una demarcazione netta non c’è e non può esserci. Mi è piaciuto meno nella Città dei poeti, anche se non è uno scrittore negato. Qui… l’ho già detto, deve tagliare troppo. Le scene di Martin sono troppo ricche, ci sono troppi retroscena da raccontare, dettagli da mostrare, e lui non ne ha il tempo. Il graphic novel è molto fedele al romanzo, molto più della serie televisiva targata HBO, ma è proprio la serie televisiva a essere più bella. Ci sono cose che semplicemente non reggono nel passare da una forma espressiva all’altra. David Benioff e D.B. Weiss hanno interpretato, e anche se spesso non condivido le loro scelte hanno fatto del loro meglio per sfruttare i punti di forza della televisione come mezzo espressivo. Qui l’adattamento è molto più piatto, comprime e non esprime. A volte ho avuto l’impressione che alcuni dialoghi fossero stati un po’ spostati, ma dovrei fare un confronto preciso per esserne certa e non ne ho voglia. Non è una cosa fondamentale. Però la storia non è fluida, procede un po’ a scatti, anche se tutte le cose importanti ci sono. Ma è come un bigino: hai tutti i dati ma ti manca lo spirito.

Disegni di Tommy Patterson. Nei disegni di prova non mi sembrava male, ora più lo guardo e più mi fa venire i brividi. Terribile, davvero. Non so se sia per colpa di capacità limitate o perché ha troppo poco tempo per il lavoro che deve svolgere e ne vengono fuori tavole affrettate, ma a volte la bruttezza dei disegni è impressionante. A sua discolpa bisogna dire anche che il lavoro da fare era immane, con così tanti personaggi da individualizzare, ma anche questi pensieri non sono di gran conforto quando si vedono certe immagini. Non lasciatevi ingannare da quel Jon Snow a cavallo che compare in copertina, quel disegno lo ha realizzato Michael Komarck. Se il nome vi sembra familiare è perché è l’illustratore di Il trono di spade. Guida a Westeros pop-up.
Colori di Ivan Nunes. Mi piacciono tanto quanto i disegni di Patterson, il che è tutto dire.
Traduzione di Paolo Accolti Gil. Ci credete che nonostante quello che ho scritto su Altieri avrei preferito una maggiore vicinanza alla sua traduzione? Non ho avuto problemi con Winterfell quando leggevo A Dance with Dragons, ma se leggo un’opera tradotta allora preferisco Grande Inverno, anche se non è preciso. Secondo me quando certi nomi sono entrati nella consuetudine ha senso cambiarli solo se distorcono il senso dell’opera. Un discorso filologico fatto su un’opera contemporanea mi sembra un tantino eccessivo. Va bene riavere il nostro cervo là dove per troppi anni abbiamo avuto un unicorno, ma suonava davvero tanto male Grande Inverno? E Trono di ferro, per quanto più preciso a livello di traduzione letterale, è molto meno evocativo di trono di spade. In più io odo l’uso di termini stranieri in un’opera in italiano quando non è strettamente necessario.
Naturalmente anche in questo caso, come già era avvenuto per i primi due volumi, mancano i contenuti speciali con commenti di Anne Groell, signora che leggo sempre molto volentieri. Li potete trovare, almeno in parte (in inglese) qui: http://www.amazon.com/Game-Thrones-Graphic-Novel
Notare che la maggior parte delle persone che ha comprato questo volume lo elogia, mentre io lo stronco con convinzione. Per quanto mi riguarda anche se in copertina c’è scritto George R.R. Martin in questo volume di Martin c’è davvero poco. Giusto la trama, ma le atmosfere si sono perse tutte.



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