La prima trilogia è composta da L’origine, L’invasione e L’assalto. La serie è nata da un gioco di ruolo fantascientifico a cui Martin (il game master) e i suoi amici, tutti scrittori, giocavano negli anni ’80, e avrebbe dovuto avere ambientazioni contemporanee ai giocatori. Solo che Martin ha chiesto al suo amico Howard Waldrop (che non aveva partecipato al gioco) di scrivere un racconto che spiegasse come e perché il virus Wild Cards si fosse diffuso sulla Terra e Waldrop aveva fatto di testa sua ambientando il suo racconto, con protagonista un certo Jetboy, nel 1946. Il racconto era bello e anche se creava problemi Martin & co. hanno deciso di tenerlo come primo racconto della serie.
Cos’ho io contro questi tizi? Cominciamo col dire che non mi piacciono gli psicopatici. Altri magari possono trovare divertente vedere quel che combinano in opere di finzione, io a volte tendo ad accostare troppo la finzione alla realtà per poter ammettere la loro presenza al di fuori delle sbarre di un carcere o di una fossa in un cimitero. Sembra strano detto da una che legge fantasy ma è così. E poi c’è il controllo mentale. Io odio ogni forma di controllo mentale. Non ho problemi con Tachyon perché il suo rigido codice morale gli impedisce di invadere l’individualità degli altri, anzi, a volte mi sono pure dispiaciuta che non l’abbia fatto e che quindi non abbia scoperto e fermato per tempo certi figli di buona donna. Così come non ho problemi con i telepati che seguono le regole. Ma l’idea di perdere l’individualità, anche volontariamente e per il bene comune – e qui il mio pensiero non può non correre a io-noi-Gaia di Asimoviana memoria – mi infastidisce parecchio, non parliamo di quando qualcuno controlla qualcun altro per fargli compiere azioni che vanno contro la sua volontà o per attaccarsi a lui tipo sanguisuga. Ecco, Hartmann, e in misura molto maggiore Ti Malice, mi fanno schifo al punto da farmi star male. Al punto da avermi quasi spinta a interrompere la lettura. Senza considerare che mi chiedo, se fin qui sono comparsi questi cattivi, quali altri cattivi potranno comparire in futuro.
Tutto finito dunque? No, La mano del morto è un nuovo romanzo collettivo, ambientato principalmente a New York così come il precedente era ambientato principalmente ad Atlanta, che tira di nuovo i fili di quanto avvenuto prima. Le trame in fondo sono troppe per chiuderle in un solo libro, e Martin è abituato da lungo tempo alle storie che crescono nel narrarle. Le cronache del ghiaccio e del fuoco erano nate come una trilogia, si sono successivamente trasformate in una tetralogia, in due trilogie collegate fra loro (e quindi in sei romanzi) e infine nel progetto attuale di una saga in sette volumi, anche se io penso che per arrivare alla conclusione a Martin serviranno almeno otto romanzi. Sapendo questo, non c’è da stupirsi se la seconda trilogia delle Wild Cards è diventata una tetralogia. Protagonisti principali, in questo volume, Damerino e Yeoman.
Alla fine ho parlato tanto della serie e poco del libro. La storia è ben costruita, come sempre, e come sempre io mi chiedo come Martin e gli altri scrittori siano riusciti a far funzionare il tutto. Ero disgustata da alcuni personaggi, preoccupata per altri, il che significa che la lettura mi coinvolgeva parecchio, e ho decisamente apprezzato la giustizia poetica che si è abbattuta su uno dei personaggi di questa storia. Per qualcun altro mi spiace, dimostrazione come non sempre le cose vanno come vorremmo neppure nelle storie. Ci sono inimicizie che non si possono sanare ed errori che vanno pagati, e Martin ha la brutta abitudine di presentare sempre il conto. Bello, anche se temo quel che potrà arrivare in futuro.
Un estratto del libro: http://leggere.librimondadori.it/george-r-r-martin-wild-cards-7-la-mano-del-morto/
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