Georgia, alle origini del vino/2

Creato il 16 luglio 2014 da Sarahscaparone @SarahScaparone

Cantina scavata nella roccia con i fori per l’interramento delle anfore

Nel mito degli Argonauti, di Giasone e del Vello d’Oro, si riflette la vocazione vinicola dell’antica Colchide, che in parte coincide con l’odierna Georgia occidentale. Il racconto mitizza elementi reali: Il Vello d’Oro richiama la consuetudine di immergere pelli di pecora nei fiumi per trattenere le pagliuzze d’oro trascinate dalla corrente, mentre il vino che sgorga dalle fontane attesta la fama della Colchide come area vocata alla viticoltura (pare che il latino vinum e il greco oinos derivino dal georgiano ghvino). 

L’Imereti, nella Georgia occidentale, con i suoli ricchi di minerali, gesso e carbonati, è secondo solo al Kakheti per la produzione di vino.

Il metodo tradizionale Imereto di vinificazione è affine a quello Kakheto nell’uso di anfore di terracotta per fermentazione e macerazione, ma se ne discosta per altri aspetti. Le anfore, qui dette Churi, vengono infatti interrate non al chiuso dei marani, bensì all’aperto, nei frutteti, o al riparo di tettoie, e la percentuale di vinacce (dette chacha, da cui si ricava per distillazione l’omonima e popolare acquavite) lasciate a contatto con il mosto è limitata al 5/10% del totale, dando così origine a vini bianchi con meno fenoli e antociani, quindi più delicati (meno tannici) e con colori più tenui.

La statua della Kartlis Deda, che domina la capitale Tbilisi ammonendo con la spada i nemici, ma porgendo un calice agli amici, simboleggia il ruolo del vino nella cultura georgiana, che esprime il proprio spirito conviviale nel tradizionale supra o keipi, banchetto disciplinato da regole rigide e diretto dal tamada, incaricato di scandire il ritmo dei brindisi.

Nella cucina georgiana, esposta ad influssi orientali, abbondano verdure e carni, cotte con spezie ed erbe. Tra i piatti di verdure, celebri sono i nigviziani badrijani, involtini di melanzane farciti con la tipica salsa di noci tritate e insaporiti da spezie come coriandolo, calendula francese, fieno greco, e i pkhali, polpette di spinaci, barbabietola, pan grattato, noci e semi di melograno. Tra i piatti di carne, risaltano il chakapuli, agnello con dragoncello e ciliegie amare, lo satsivi, tacchino o pollo lessato e rosolato in salsa di noci, zafferano e altre spezie, lo mtsvadi, spiedino di coppa di maiale marinata nel vino bianco, il kupati, salsiccia di fegato di maiale o vitello.

Regine della tavola georgiana sono le focacce al formaggio, dette khachapuri, declinate in varianti regionali come l’aciaruli, tipica dell’Adjara, con forma a “barchetta” e incavo riempito da un tuorlo d’uovo. Gradevoli anche il lobiani, focaccia farcita con fagioli, lo mchadi, pane di mais, e i khinkali, grossi ravioli ripieni di carne macinata, con cumino e cipolla, oppure di formaggio. Tipici dello Svaneti sono lo chvishdari, formaggio cotto dentro un pane di mais, il kubdari, focaccia ripiena di carne di vitello, e il tashmjabi, sorta di purè di patate con formaggio.

Ottimo il pane (tonis puri), cotto sulle pareti d’un forno conico, somigliante ad un pozzo, con il braciere acceso al fondo. Tra i dolci, spicca la churchkhela, collana di gherigli di noce intinta in un impasto di mosto, farina e zucchero, e la focaccia dolce con le noci. Ideale per gustare i piatti georgiani è la terrazza panoramica del ristorante In the shadow of Metekhi a Tbilisi.

La varietà della cucina è un riflesso della ricchezza culturale del Paese, che si esprime spesso nelle forme dell’architettura religiosa, come a Mtskheta, sino al XII secolo residenza del Catholicòs, capo della Chiesa georgiana, imperdibile per il monastero di Jvari, sorto nel VI secolo sul colle dove Santa Nino aveva eretto una croce lignea, e la cattedrale di Svetitskhoveli, luogo di incoronazione e sepoltura di molti re georgiani, o a Vardzia, città-monastero intagliata nella roccia tra XII e XIII secolo su 13 livelli sovrapposti e distrutta dai Persiani nel 1551. Nell’Imereti il monastero di Gelati affascina per gli affreschi del XII secolo e il mosaico del catino absidale (1130), mentre lo Svaneti, remota regione cinta dalle vette del Caucaso ed esplorata a fine Ottocento dal piemontese Vittorio Sella, evidenzia l’identità culturale nella lingua parlata, lo Svan, e offre un paesaggio fiabesco punteggiato di torri, emblemi di difesa ed orgoglio clanico. Netto è il contrasto con l’appendice meridionale, l’Adjara, regione storica oggi in parte turca, in cui la vegetazione subtropicale e le coste frastagliate incorniciano tesori naturalistici come il Giardino Botanico di Batumi, e storici, come le vestigia della fortezza romana di Gonio/Apsaros.

A chi volesse scoprire la Georgia consiglio di appoggiarsi alla competenza di Bruno Vepkhvadze, per professione pittore, discendente da una dinastia di artisti, ma all’occorrenza guida esperta. Dal 2006 membro dell’Unione dei pittori georgiani, Bruno ha firmato opere presenti in cataloghi e annuari d’arte internazionali, appartenenti a collezioni private in Georgia, Russia, Cina, Iran, Turchia, Italia, USA. Per informazioni scrivere a vepbruno@hotmail.com

 Paolo Barosso (testo e foto)



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