Gerusalemme tra archeologia, cibo e Ultima Cena

Creato il 09 aprile 2014 da Sarahscaparone @SarahScaparone

Una settimana di silenzio: il tempo di andare a Gerusalemme e tornare. Assente giustificata, insomma, alle prese con un viaggio che ha avuto dell’incredibile.

Sono partita il 3 aprile scorso insieme a Generoso Urciuoli e Marta Berogno, due archeologi torinesi (anime di Archeoricette e Centro Studi Petrie) sulle tracce del menù dell’Ultima Cena. Sì, avete letto bene. A Torino si indaga su cosa mangiarono Gesù e gli apostoli, e presto saprò darvi le prime indiscrezioni, ma ci vuole ancora un po’ di pazienza. In ogni caso posso assicurarvi che viaggiare in Terra Santa insieme a due archeologi ha un certo fascino. Vuoi perché ti senti anche tu un po’ esploratore, vuoi soprattutto perché impari a vedere le cose attraverso i loro occhi e a contestualizzarle con un’attenzione che ha un’energia incredibile.

Abbiamo girato in lungo e in largo tra i vicoli della città vecchia, abbiamo visitato luoghi sacri, parlato con ebrei, ortodossi, mussulmani, cristiani, siamo stati rispettosi dei divieti (per il venerdì islamico e per lo Shabbat) e attenti alle indicazioni delle mappe (anche quelle storiche) seguendo l’itinerario ben preciso dei sopralluoghi che erano stati preventivati. Ma ci siamo anche volutamente “persi” (si fa per dire) per lasciare al caso la libertà di condurci dove meglio credeva. Persino le antiche mura della città di Gerusalemme, costruite all’inizio del sedicesimo secolo dal Sultano turco Suleiman il magnifico, e le sue otto porte non hanno più segreti. Tutte tranne una (la porta della misericordia) sono ancora utilizzate dagli abitanti di Gerusalemme e dai visitatori che le attraversano per accedere ai mercati, ai luoghi sacri e a quelli storici, come abbiamo fatto noi.

Il nostro primo accesso alla città vecchia, dopo una lunga chiacchierata con Moshe Basson, alias lo chef biblico per antonomasia,  è stato attraverso la Porta di  Jaffa. Questa era la destinazione dei pellegrini ebrei e cristiani che sbarcavano al porto di Jaffa, e da qui prende il nome. La porta conduce direttamente al quartiere ebraico e cristiano così come alle parti più popolari del mercato e alla Torre del Museo di David. Ma poiché alloggiavamo dalle parti di  Jaffa Street, credo di poter affermare con certezza che la porta che abbiamo varcato più volte sia stata quella Nuova: questa è l’unica porta della città vecchia che non faceva parte della progettazione originale delle mura nel XVI secolo. Fu aperta nei giorni della colonizzazione dell’impero ottomano per concedere a pellegrini cristiani l’accesso più rapido ai loro luoghi sacri all’interno dei bastioni. E se la Porta di Erode, che consente di raggiungere il Rockefeller Museum (una delle nostre tappe obbligate), deve forse il suo nome a una rosa intagliata sulla sua struttura, è sicuramente la Porta di Damasco una delle più suggestive. Si tratta della più imponente tra le porte di Gerusalemme e il nome richiama quello del luogo da cui arrivarono i suoi dominatori. Il fermento qui è all’ordine del giorno e, con un po’ di fantasia ,ci si può facilmente immaginare indietro nel tempo, osservando oggi come allora quel grande via vai di persone, etnie, razze, religioni, colori, sapori e profumi che ne costituisce l’essenza. La Porta di Zion è invece la via di accesso al quartiere armeno e a quello ebraico: il suo nome, in arabo, è legato al Profeta David, poiché la tomba del Re David, sull’adiacente monte Zion, si trova a pochi passi. Varcando questa soglia si arriva facilmente anche al Cenacolo (paradossalmente situato proprio sopra la tomba di David) che, incuriositi, abbiamo voluto raggiungere per vedere – non senza perplessità - il luogo dove si presuppone si sia svolta l’ultima cena. Le tre porte mancanti a questa piccola ricognizione sono: la Porta del Leone, chiamata anche porta di Santo Stefano, dal primo martire cristiano che la tradizione vuole fosse stato lapidato qui vicino. La Porta del Leone conduce alle piscine di Bethesda, alla via Dolorosa e ai mercati; la Porta del letame il cui nome insolito deriva dai rifiuti ammucchiati qui nell’antichità, dove i venti dominanti ne avrebbero trasportato via gli odori. Questa porta conduce direttamente al muro occidentale e al parco archeologico della parete sud; la Porta della misericordia, nelle mura orientali esterne al monte del Tempio, è tra  più conosciute. Anche chiamata Porta dorata o Porta Est è stata chiusa da secoli e secondo la tradizione sarebbe in attesa di una miracolosa apertura quando il Messia arriverà e i morti resusciteranno.

Porte a parte (scusate il gioco di parole), il nostro tour è stato scandito da un’organizzazione perfetta pianificata in ogni minimo dettaglio da Marta e Gene. Iniziamo con i trasporti: dall’aeroporto di Tel Aviv a Gerusalemme si arriva facilmente usufruendo del servizio pubblico; la navetta n. 5 ti porta alla fermata del bus 947 che in un’oretta di viaggio (comodamente seduto e con wifi libero a disposizione) ti consente di raggiungere la città santa. Con la stessa linea di trasporti, la Egged, si raggiungono facilmente molti siti che si trovano sulla direttrice della vicina Giordania e del Mar Morto. Lo abbiamo sperimentato per arrivare a Masada, uno dei posti più suggestivi e incredibili che io abbia mai visitato. Situata nel punto più basso della terra, oltre 400 metri sotto il livello del mare, è un luogo dove la libertà si respira in ogni dove. Vuoi per il paesaggio mozzafiato, per le distese di terra a perdita d’occhio che portano lo sguardo al Mar Morto e oltre, alle coste giordane, vuoi perché qui la libertà si è pagata a caro prezzo. In questa fortezza situata su una rocca imponente (raggiungibile a piedi percorrendo il Sentiero del Serpente o la rampa romana, o in alternativa – come ho fatto io – la funivia) un migliaio di ebrei si tolse la vita pur di non diventare prigioniero della X legione dell’impero romano che per tre anni la assediò. Dalle sue alture sono ancora visibili gli otto accampamenti militari e si possono visitare i ruderi di abitazioni, sinagoghe, chiese, magazzini (dove i romani trovarono cibo perfettamente conservato in quantità tale da durare per due anni), luoghi militari, bagni, piscine, palazzi e mura che ospitarono questa eccezionale comunità.

Di grande fascino anche Qumran, abitata dagli ebrei già nell’ottavo secolo a.C. Il nostro viaggio qui si è svolto all’insegna degli Esseni che lo abitarono per due secoli e che vi lasciarono i Rotoli del Mar Morto. Asceti che davano grande importanza alla purità, gli Esseni conducevano vita comunitaria, avevano sale per assemblee, refettorio, cucina comune, bagni rituali, camere per lavanderia e torri di guardia.

Ma torniamo all’organizzazione: ovviamente non poteva mancare un occhio di riguardo per il cibo. E così tra un giro sui tetti di Gerusalemme al calar del sole, il girovagare tra le sue mura e qualche gita fuori porta, abbiamo mangiato hummus e falafel, gustato una cena armena, provato la pita, una focaccia speciale cotta nel forno a legna e il mitico Mutabaq di Hani Zalatimo. La sua famiglia lo produce da 200 anni con la stessa ricetta che proviene dall’Egitto. Si tratta di un dolce preparato con farina, acqua e sale che dà origine a un impasto morbido e molto elastico. Al suo interno si farcisce con formaggio di capra e, dopo la cottura in forno, si cosparge con un succo di acqua e limone e con dello zucchero a velo.



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