Sindrome di Gerusalemme
Gerusalemme è molto di più della capitale mondiale della religione, e il centro nevralgico del conflitto israeliano-palestinese. Di più: è l’origine e la fine di ogni religione giudaico-cristiana-musulmana. Gerusalemme è una città di una bellezza così intensa e maledetta, che non vedi l’ora di andartene.
Ogni stazione dei trasporti è generalmente una centrifuga spiazzante, ma la centrale d’autobus di Gerusalemme, pur non essendo la più grande del mondo (primato che fino al 2010 vantava la vicina Tel Aviv), riesce a toglierti ogni centro di gravità permanente appena esci all’area aperta.
Senza essere caotica come quella vicino alla porta di Damasco, dove partono i mezzi diretti in Palestina, e decisamente priva della bellezza abbacinante che si trova in quasi ogni angolo della città, ne rappresenta comunque più che degnamente la sua intensità. Gerusalemme è una città bella come poche, ma soprattutto è intensa come poche.
Gerusalemme è la capitale mondiale della religione. Dentro le mura della città vecchia, tra edifici intrisi di densa storia millenaria, ci si imbatte in autorità ecclesiastiche giudee, cristiane, cattoliche, ortodosse e musulmane con la stessa facilità con cui si possono collezionare attori e registi celebri a Cannes durante il festival del cinema.
Gerusalemme è l’origine di ogni religione e l’origine di ogni conflitto religioso.
Ma la bellezza di Gerusalemme va ben oltre il suo afflato religioso. Mi ricorda Roma per i suoi colli e il suo decadentismo iper elegante.
Eppure.
C’è qualcosa che, nonostante la grande bellezza che ti circonda, ti mette fortemente a disagio. E non parlo della massa di turisti in giro per la città vecchia o di locali che intasa il souk: quelle sono esperienze ordinarie. C’è una sacrale seriosità in questi religiosi di ogni colore e confessione, siano essi alte autorità o persone ordinarie mosse da una fede straordinaria, che ti fa sentire inadeguato.
Uno dei 70 nomi con cui è conosciuta questa città è Shalem, che è molto simile alla parola Shalom, che in ebraico significa Pace: da qui il nomignolo Città della Pace; ma di pace ce n’è davvero poca da queste parti. Quello che ti assale è invece una sensazione di inquietudine profonda che non ti si origina né nel cuore, né nella pancia e tanto meno nel cervello: ti attacca in parti del corpo casuali, secondo un ordine assolutamente incomprensibile, ma che ti lascia in perenno stato di angoscia sublime.
Gerusalemme è una città di una bellezza talmente intensa, che non vedi l’ora di andartene.
E non è una battuta: Gerusalemme è come il sole d’Australia a mezzogiorno. La sindrome di Gerusalemme è reale: questo è un posto magico, ma che si può ingerire solo in moderate quantità.
Ammetto, che nei pochi giorni in cui ho gironzolato, mi sono trovato più a mio agio per le vie della città nuova. La larghissima Jaffa street, dove passa la metrò leggera, è una ventata d’aria fresca contrapposta alle claustrofobiche viuzze della Old City.
Ma c’è molto di più, in ogni vietta, in ogni quartiere periferico in cui la maggior parte dei turisti non mette piede, che vale la pena esplorare in questa città magica.
Facendo attenzione di farlo sempre a piccole dosi.