Gestione “economica” e gestione “finanziaria” di una squadra di calcio

Creato il 26 luglio 2014 da Tifoso Bilanciato @TifBilanciato

Una volta l'acquisto di un calciatore veniva salutato dal giubilo dei tifosi e dalle immancabili discussioni sul ruolo che avrebbe occupato in campo; oggi viene accompagnato dalla “indispensabile” annotazione sul fatto che la sua cessione abbia generato o meno una plusvalenza e se sia stato o meno un buon affare a livello di bilancio. Ed a qualcuno poi sorge il dubbio: ma se ho comprato un giocatore a 15 ml e l'ho rivenduto a 6 ml, come diavolo ho fatto a fare una plusvalenza di 3 ml? L'avessi venduto a 18 ml capirei, ma così ci ho rimesso 9 ml! Ed altri dubbi ancora sorgono quando lo scambio di giocatori avviene alla pari, io ti cedo Tizio a 3 ml e tu mi dai Caio a 3 ml (una volta si chiamava baratto): com'è possibile che entrambi si faccia una plusvalenza se non abbiamo pagato un euro?!?

La questione non è proprio banale da spiegare; cercherò di farlo nel modo più semplice possibile utilizzando degli esempi ed i commercialisti mi perdoneranno alcune imperfezioni.

La gestione di ogni azienda può essere scomposta ed analizzata tra “gestione economica” e “gestione finanziaria”: le plusvalenze riguardano la prima, gli scambi di soldi la seconda.

Supponiamo che io voglia gestire una squadra di calcio: avrò un costo iniziale per la sua creazione (principalmente l'acquisto dei calciatori; ma anche la sede sociale, i campi di allenamento, lo stadio etc. Per semplicità, qui consideriamo solo il costo di acquisto dei calciatori, il c.d. cartellino), i costi variabili legati alla gestione ordinaria (anche qui, per semplicità, consideriamo solo gli ingaggi), gli incassi legati alla vendita del prodotto finale (il prodotto finale è la prestazione della squadra, lo spettacolo offerto, il risultato ottenuto), che sono: 1) ricavi da biglietteria 2) vendita dei diritti televisivi 3) merchandising 4) vendita dei calciatori 5) ricavi straordinari.

Dal punto di vista della gestione “economica”, avrò un costo iniziale per i cartellini (diciamo 100 ml), questo costo sarà ripartito per il numero di anni in cui questi giocatori saranno utilizzati producendo i loro effetti economici (diciamo 5 anni), ogni anno gli pagherò stipendi e altro (diciamo altri 10 ml all'anno), ogni anno incasserò i soldi per la vendita delle prestazioni sportive della squadra (diciamo 40 ml).

Con queste premesse, ogni anno il mio conto economico vedrebbe un utile di 10 ml così risultante: -20 ml di quota ammortamento dei cartellini, -10 ml di costi variabili, +40 ml di incassi vari. Alla fine del quinquennio, avrò chiuso 5 bilanci in utile, per un totale di 50 complessivi.

Finanziariamente invece, i flussi di cassa sarebbero molto diversi: un rosso di -100 ml all'inizio, che si riduce ogni anno di 30 ml (saldo tra -10 ml dei costi variabili e +40 ml degli incassi): risultato alla fine dei 5 anni +50 ml.

Le seguenti tabelle chiariranno meglio i diversi andamenti.

In sostanza, il primo anno chiuderei con un utile di 10 ml e un indebitamento di -70 ml; negli anni seguenti l'utile rimane costante ma diminuisce l'indebitamento fino ad azzerarsi e diventare poi attivo. Capite bene che non è la stessa cosa chiudere con un utile di 10 ml e un indebitamento di -70 ml o una disponibilità di +50 ml!

Qualora alla fine del quarto anno vendessi tutti i giocatori a 40 ml, siccome il valore residuo da ammortizzare è 20 ml, realizzerei appunto una plusvalenza di 20 ml. I miei bilanci vedrebbero per tre anni un utile di 10 ml, mentre il quarto l'utile sarebbe di 30 ml: 10 ml dalla gestione ordinaria e 20 ml dalla plusvalenza realizzata. In caso di vendita anticipata, i flussi sarebbero -100 ml, +30 ml ogni anno per 3 anni, +70 ml al quarto anno.

L'azienda è economicamente sana: la gestione ordinaria produce utili e flussi di cassa positivi; all'inizio la società è indebitata perché ha fatto un corposo investimento ma non c'è nulla di male, l'indebitamento non è un problema fin quando la gestione ordinaria è in grado di produrre flussi di cassa positivi. Un esempio nel calcio sono i grandi club tipo Real Madrid e Manchester United, che hanno investito tanto, hanno (avevano) un pesante indebitamento ma producono consistenti flussi di cassa positivi ed hanno una gestione che produce utili.

L'indebitamento quindi di per sé non è un male assoluto, dipende da dove deriva: se è figlio di investimenti che mi permetteranno di produrre più utili e più flussi di cassa non c'è problema, se invece deriva da una gestione che brucia liquidità, allora può portare l'azienda al fallimento.

Prendiamo adesso due squadre “A” e “B”: entrambe hanno una disponibilità iniziale di 50 ml e flussi di cassa di 50 ml ogni anno. "A" decide di comprare dei giocatori pagandoli 100 ml complessivamente e riconoscendo loro 40 ml all'anno di ingaggio per 5 anni. La società "B" invece prede tutti “parametri zero” e gli riconosce stipendi per complessivi 60 ml ogni anno, sempre per 5 anni.

La società "A" avrà un indebitamento iniziale di -50 ml; chiuderà il conto economico con perdite pari a -10 ml (+50 ml di ricavi ordinari -40 ml di stipendi -20 ml di ammortamenti) e flussi di cassa positivi pari a +10 ml. La società "B" avrà invece una disponibilità iniziale di +50 ml; anch'essa chiuderà il bilancio con perdite pari a -10 ml (+50 ml di ricavi ordinari -60 ml di stipendi) e flussi di cassa negativi pari a -10 ml.

Vediamo il risultato di entrambe dopo 5 anni.

Perfetta identità: 50 ml di passivo e cassa azzerata. Pur partendo da prospettive molto diverse, "A" e "B" sono arrivate allo stesso punto.

Ma sono veramente nella stessa situazione? Direi di no.

"A" potrebbe rinnovare i contratti ed avendo finito gli ammortamenti comincerebbe a produrre un utile oltre a continuare a produrre flussi di cassa positivi; il passivo di bilancio accumulato fino a quel momento inizierebbe a ridursi; i flussi di danaro porterebbero la cassa in positivo; potrebbe pensare a nuovi investimenti ed in buona sostanza si avvierebbe ad un futuro promettente.

"B" invece, qualora rinnovasse i contratti in essere, continuerebbe ad accumulare passivo ed anche il saldo di cassa (i soldi che servono per pagare gli stipendi, i fornitori etc per intenderci), fino a quel momento positivo, si trasformerebbe in indebitamento, costringendo ad un taglio dei costi (cedere i calciatori).

Supponiamo ora che a dirigere la società "B" ci sia un abile e scaltro dirigente che, trovata una società compiacente, diciamo "X", decida di prendere alcuni sconosciuti giocatori della primavera e li scambi con altrettanto sconosciuti giovani della squadra "X" a prezzi “consistenti”. Se prendo un giovane della primavera, che verosimilmente è a bilancio a 0, e lo cedo a tanto (diciamo 20 ml ad esempio) realizzo una plusvalenza di pari valore. La società compiacente "X" fa lo stesso: mi cede un primavera per lo stesso importo ed anch'essa realizza l'identica plusvalenza. Come cambiano il conto economico ed i flussi di cassa? Al conto economico dovrò aggiungere i 20 ml di plusvalenza, ma i flussi di cassa sono nulli: 20 ml li incasso dalla cessione del mio primavera, 20 ml li pago per l'acquisto del loro.

Ed ecco realizzato un bell'utile economico.

Bravi loro? Apparentemente, ma non proprio. Vediamo infatti cosa succede negli anni seguenti. Supponendo che non aumenti il monte ingaggi, avrò comunque un aumento negli ammortamenti (supponiamo 20 ml / 5 anni = 4 ml). La tabella cambierà così: (+50 ml di ricavi ordinari -60 ml di stipendi -4 ml di ammortamenti).

Come vedete la società, nonostante l'utile dell'ultimo anno, non avrebbe fatto altro che aggravare la situazione. Ovviamente il giochino potrebbe essere ripetuto, ma da lì in poi il problema sarebbe ulteriormente aggravato, finendo per accelerare il dissesto della società.

Per inciso, al di là della “furbata” di utilizzare due giocatori del vivaio, questo “giochino” può realizzarsi ogni volta che due società si scambiano tra loro un giocatore che ha un valore di ammortamento residuo molto basso: se attribuiscono alla “permuta” una valutazione superiore all'ammortamento residuo del cartellino, entrambe le società realizzano una plusvalenza senza aver tirato fuori un euro!

In alternativa (o, volendo esagerare, congiuntamente), c'è anche la cessione di un qualsiasi asset, meglio ancora se immateriale e di difficile e controversa quantificazione economica (che so, a puro titolo di esempio, il marchio), ad una società controllata, preferibilmente creata ad hoc ed inglobata nello stesso bilancio consolidato: di nuovo, nessun trasferimento di danari ma plusvalenza corposissima! Insomma, come avrete capito, di soluzioni legali per “abbellire” un bilancio ce ne sono parecchie.

Tutto questo panegirico quindi serve mettere i naviganti sull'avviso che:

  • non basta guardare alla gestione economica di un'azienda per farne una corretta e completa fotografia;
  • spesso e volentieri guardare alle sole plusvalenze contabili può condurre a valutazioni anche profondamente errate sullo stato di salute di un'azienda;
  • altrettanto importanti delle plusvalenze, se non addirittura decisivi, sono i flussi di danaro che entrano o escono a seguito della compravendita dei calciatori;
  • se esistono i “revisori contabili”, un motivo ci sarà.

Un'ultima considerazione personale, indirettamente ricollegabile a quanto esposto sopra sulle 5 voci di ricavo di una società di calcio: Deloitte, quando pubblica la famosa classifica annuale dei fatturati, considera tra i ricavi della gestione ordinaria solo le prime 3 voci, escludendo i ricavi straordinari (punto 5) e quelli relativi alla vendita dei calciatori (punto 4). Secondo me, questa classificazione non è corretta. Mi spiego subito, altrimenti pensate che io sia impazzito.

Ritengo che i proventi derivanti dalla cessione delle prestazioni sportive di un calciatore facciano parte a tutti gli effetti della gestione ordinaria di una società di calcio perché: non c'è società che non abbia, tanto o poco, questa voce a bilancio (contrariamente, ad esempio ai diritti TV della Champions, che per alcune società sono “straordinari”, in quanto li possono mettere a bilancio molto raramente); sono ricavi la cui implementazione dipende da una mia decisione (contrariamente di nuovo a quelli della Champions League); sono ricavi che posso incrementare sulla base di decisioni che tendenzialmente posso prendere da solo (vivai, età dei giocatori che compro, ingaggi che pago, etc); spesso, almeno in Italia, è una voce costantemente superiore agli incassi da stadio e di merchandising.


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