Se riconoscete la locandina qui sopra, vuol dire che avete avuto un'infanzia felice. No, sul serio. Parlo di tutti quelli nati tra la seconda metà degli anni '70 e la prima metà degli anni '80. Parlo anche di quelli che su questo pianeta sono arrivati qualche anni dopo. "Who ya gonna call? Ghostbusters!". Questa frase dovrebbe dire molto alle persone di cui sopra. 1984. Due anni prima muore John Belushi e il mondo del cinema comico/commedia vive uno dei più grandi lutti del decennio. Belushi avrebbe dovuto essere uno dei protagonisti di Ghostbusters, ma non fece in tempo. Un progetto ambizioso, all'inizio: gli acchiappafantasmi vagano per lo spazio-tempo alla ricerca di terribili e enormi fantasmi da acchiappare. Ma il lutto spinge l'attore Dan Aykroyd (autore del soggetto) ad abbandonare le scene per tre settimane e con esse anche il progetto. Al suo ritorno, rivitalizzato dal ritiro sull'isola di Martha's Vineyard, incontra il produttore Ivan Reitman per discutere sulla produzione dell'idea. Reitman sembra essere entusiasta ma predice costi proibitivi, così decide di semplificare le cose, sceglie New York come ambientazione, si propone alla regia e presenta Aykroyd a Harold Ramis. I due scrivono assieme lo script definitivo, ridimensionano, tagliano e correggono e alla fine ecco la storia proprio come la vediamo nel film.
I dottori Venkman, Stantz e Spengler sono studiosi di parapsicologia ma sulle loro ricerche non è pronta a scommettere neanche l'università. Per questo vengono cacciati e decidono d'inventarsi un mestiere: diventano così acchiappa fantasmi, cacciatori di entità sovrannaturali dietro compenso. Proprio in tempo per l'apocalisse.
Bill Murray, Dan Aykroyd, Harold Ramis. Scuola Saturday Night Live. In altre parole il meglio della comicità di quegli anni. Il meglio per il meglio, ovvio, perché Ghostbusters è uno dei più grandi successi di quegli anni:434.286.000 didollari incassati al box office, 23 milioni solo nella prima settimana. Un sequel, una serie animata, due nomination all'Oscar: una come migliori effetti speciali, l'altra per la migliore canzone. Il tutto per un film girato in quattro mesi e costato 30 milioni di dollari. Alla regia il già citato Ivan Reitman, quello che ha prodotto il primo Cronenberg ma, soprattutto, Animal House. E in Animal House c'era un certo John Belushi mattatore, il cosìdetto leader del gruppo di attori nel noto show SNL. Tutto torna. In questo film c'è la comicità del botta e risposta e l'abilità nell'improvvisazione, battute cult che sarà difficile dimenticare o riproporre per almeno altre cinque generazioni. La genialità di un'idea e l'abilità nel renderla cinema: quattro protagonisti (c'è anche Ernie Hudson nel cast) vestiti da pompieri e armati di fucili protonici che danno la caccia a ectoplasmi impazziti e salvano la città di New York diventando eroi nazionali nell'America anni '80. Se pensate che un'idea del genere sarebbe potuta venire anche a voi, alzate tranquillamente la mano. A dire il vero quando ero più piccolo questo film mi faceva paura. Guardare un cane demoniaco rincorrere e assalire Rick Moranis e mani demoniache venir fuori dal divano e afferrare una Sigourney Weaver in gran forma, mi metteva ansia e mi spaventava. A dire il vero guardare oggi l'uomo marshmallow che sorridente schiaccia auto e passanti e poi mostra il proprio ghigno arrabbiato ai quattro acchiappafantasmi che tentano di distruggerlo, mi mette addosso una strana sensazione. Eppure far paura non era proprio l'intento del film, né di Aykroyd quando aveva scritto la prima stesura (Ghost Smashers). L'intento è fare ridere e divertire e in questo Ghostbusters riesce benissimo. La confezione poi è di gran classe e gli effetti visivi inimmaginabili per l'epoca. E allora non c'è da chiedersi come mai tutto quel successo, come mai la comicità irresistibile e come faccia la musica principale della colonna sonora a essere conosciuta anche dai bambini. Come mai si parlì ancora di un terzo capitolo, in bilico perché apparentemente troppo costoso. Non c'è da farsi tutte queste domande, c'è da vedere questa pellicola ancora, ancora, ancora. Farla conoscere a chi, cronologicamente, non l'ha potuta vivere. E magari adottare uno Slaimer, che era il mio sogno da bambino , un sogno mai realizzato.