Quale atteggiamento deve avere la comunità dei credenti di fronte ai nuovi problemi e alle nuove tematiche che la vita continuamente presenta? La tentazione, sempre ricorrente, è quella di guardare al passato, per rifarsi alla tradizione e difendere modelli di vita consuetudinari, cercando di farli risalire all’origine dell’uomo. Con questo atteggiamento si ignora il cammino evolutivo dell’umanità, che è giunta sino a oggi, proprio perché non ripete schemi del passato, ma sempre ne crea di nuovi. E’ un dato di fatto che nell’evoluzione della specie non sopravvive il più forte, ma solo chi è capace di cambiare e adattarsi alle nuove condizioni ambientali.
Per percepire l’azione di Dio pertanto non bisogna guardare indietro né rifarsi al passato, a quel che si sa, ma occorre essere disposti ad aprirsi al nuovo, a quel che viene e verrà: «Ora ti faccio udire cose nuove e segrete, che tu nemmeno sospetti. Ora sono create e non da tempo; prima di oggi tu non le avevi udite, perché tu non dicessi: già lo sapevo» (Is 48, 6-7)
Già lo sapevo!... Chi si rifà al passato nega la continua azione creatrice del Signore. Potrà rifarsi alla teologia della riesumazione, rispolverando dottrine, formule e paramenti di un passato ormai morto e imbalsamato, ma non all’azione creatrice del Salvatore. La comunità cristiana non si fonda quindi sul sapere, la conoscenza del Dio dei padri, ma sull’apprendere, nell’ascolto di un Dio sempre presente: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni» (Mt 28,20)
Se non è al passato che si deve guardare, ma al presente, quali sono i criteri per una risposta adeguata ai nuovi bisogni dell’umanità? La comunità cristiana ha una grande certezza: la promessa di Gesù che lo Spirito l’avrebbe sempre guidata a tutta la verità e, soprattutto, che lo Spirito avrebbe sempre annunciato le cose future (Gv 16, 13).
Lo Spirito, il dinamismo d’amore che procede dal Padre, darà alla comunità la capacità di avere sempre nuove risposte ai nuovi bisogni emergenti. La comunità non dovrà guardare alla dottrina, ma alla vita, non alla Legge, ma al bene dell’uomo. E la stessa parola del Signore dovrà essere animata dal suo Spirito, altrimenti, come insegna Paolo, anziché essere portatrice di vita, la lettera può uccidere (2 Cor 3, 6).
Il criterio pertanto che guida la comunità dei credenti è il bene dell’uomo come unico valore assoluto. Se al bene dell’uomo si sovrappone una dottrina, un dogma, una verità, prima o poi, inevitabilmente, in nome della dottrina si causerà sofferenza all’uomo.
E’ quel che comprese anche Paolo, il fariseo, l’insuperabile osservante della Legge, il quale, dopo un’iniziale feroce resistenza e offensiva contro la blasfema novità che gli faceva crollare tutto il suo mondo religioso, comprenderà e accoglierà la novità del Cristo e farà di questa il filo conduttore del suo messaggio: «Se uno è in Cristo, è una nuova creature: le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove» (2 Cor 5,17).
Le vecchie cose sono i criteri, i pensieri, le dottrine che regolavano il mondo. Ormai questi sono morti, e sono stati sostituiti dalle cose nuove, da modelli di pensiero e di vita che hanno quale punto dinamico di partenza il Cristo: l’umanità del Cristo è la stella polare che deve orientare l’esistenza del credente, conducendolo verso la creazione di un mondo progressivamente sempre più umano, dove la dignità, la libertà, la diversità di ogni creatura siano sacre e inviolabili.
Violairis - 2 luglio 2013 - www.chiesavaldesetrapani.com