Giacomo Trinci – (Un’introduzione e) tre poesie

Creato il 04 gennaio 2014 da Carusopascoski

“Non potevo pensare
un amore senza canto”

Giacomo Trinci è un altro grande poeta pistoiese, come già anticipai nella recensione al nuovo libro di Giuseppe Grattacaso (leggi qui). Lo conobbi attraverso un volume edito dalla Via del Vento di Fabrizio Zollo, ennesima emanazione della Pistoia poetica di cui vado sempre più innamorandomi, La Cadenza Il Canto, preziosa raccolta di poesie scelte con cui consiglio di avvicinare l’opera di Trinci (“credevo che il profondo fosse a fondo”). Sentii così di voler leggere di più di questo poeta dalla musicalità fluviale e dall’impatto etereo, lattiginoso, pur attraverso “la vita personale” (questione “pratica” oltre che poetica) e qui generoso di simboli privati e sfumature pubbliche (“itaca mia che approssimo, e non torna”). Divorato dunque Resto Di Me, ho poi assistito alla presentazione del nuovo libro di Trinci, Inter Nos, d’ambientazione più quotidiana, con contenuti più palpabili delle precedenti letture del poeta pistoiese, di cui la poesia finale sublima questa breve presentazione.

A quello che sarà, o più non sarà.
A chi spasima più per più non essere.
A chi più filo no, non ha per tessere.
A chi polvere, fumo, a chi non ha.

Per questa notte sola, solo un canto.
Persona senza io, senza alcun vanto.
Per vivere lumina nella notte.
Per me, per voi, spossati dalle lotte.

Per chi si sfa da solo, e non si trova.
Per quelli che non hanno l’intrapresa.
Per ogni veste resa tutta arresa.
Per chi non ha, non è, niente lo cova.

Infine a tutto quello che commuove.
A quel mondo che lascio, alle sue prove.
A te l’inno si deve, senza pianto
Per la pietà, per il mio arreso schianto.

[Resto Di Me, Aragno 2005]

***

Chiuso colpito ridisceso a te
Chiuso colpito ridisceso a te
dove la notte foraggia il pensiero
e l’erba secca senza l’acqua, ed è
spezzata l’esca, il verme perso, il fiero

campo di parole tumulta in me
disperso e guasto, ma tanto più vero
quanto più in croce l’estro è chiuso in sé
travolto da tanto dire insincero

erso di te si sale e non si trova,
sempre la prova stimola l’intento,
s’alza la penna, linfa e fiamma sola;

ero quaggiù sospeso ad un accento,
l’aria oscurava, ed ogni mia sconfitta
ti celebrava dentro un nuovo evento

[La Cadenza Il Canto, Via Del Vento 2007]

***

un don chisciotte d’oggi è seduto fisso
riguardante studiante tutto,
intorno caleidoscopico psichico coma di gente,
un bar con gli scontrini, senza ronzini e ronzinanti,
fan da riscontro,
e la mia sedia fissa è il mio cavallo,
la campagna, calura di sere,
è questa quieta aspettazione di analisi di critica gioiosa,
è questa rosa di fatti non capiti ma seguiti,
con occhio e cuore,
furore mente e schiocco di vedute,
squarci d’aria e di vento,
lanci di schiarite logiche e mentali
a chi non le vuole,
e ti guarda incurante di felice,
facendoti di gioia e di esclusione,
cavaliere d’esilio compartecipe
di parte e di poi tutto,
come d’io, poi in fondo
potente in tutto ed impotente mente,
come felice d’essere, qui,
puro venire in duro confrontare
vita con vita, che la guardi disarmare
in puro incanto, in faccia al mare…

[Inter Nos, Aragno 2013]