Erano anni di gran fermento, quelli, per il panorama dell’editoria italiana per ragazzi. Di rivoluzione, direi. Perché la Emme Edizioni – la casa editrice fondata, appunto, dalla Archinto - si impose sugli stereotipi che allora dominavano il settore del libro per bambini portando la luce e l’innovazione, introducendo firme di grandissimi autori internazionali – fino ad allora sconosciuti – cambiando la prospettiva, riscrivendo le regole, facendo conoscere un modo nuovo, insolito, sconvolgente, di intendere storie e illustrazioni e cambiando per sempre un settore che – per fortuna! – da lì in poi non fu più lo stesso.
Un’avventura che sempre, al pensiero, mi emoziona.
E così quando ho appreso che la scelta di Orecchio Acerbo di riportare sugli scaffali delle librerie quest’albo – allo stesso tempo diretto e sofisticato, elaborato ma dal messaggio limpido e potente – fosse da intendere, almeno in parte, come un omaggio alla grande editrice e donna Rosellina Archinto, non ho potuto fare a meno di tuffarmi tra le pagine con la curiosità e l’entusiasmo di cui sempre mi parlano quei magici anni.
E se il tuffo è stato d’istinto e di passione, devo ammettere poi che il vortice che mi ha tirato dentro al libro si è composto di poesia e genialità.
Uno dei primi pensieri dopo la riemersione è stato su come gli opposti si possano amalgamare, armonizzare e divenire un tutt’uno di lievità e complessità, in qualcosa che assomiglia ad una freccia per acume, levigatezza e pulizia del testo e a un brulichio, a un’esplosione di dettagli, a un gioco infinito di scatole che si aprono una appresso l’altra, per le immagini.
Sì perché se il racconto inventato da Asch è quasi commovente, è un inno poetico alla creatività dell’infanzia, è un monito ad aprire le porte alla forza della fantasia, a non arrendersi, a immaginare e poi reinventare la realtà, le illustrazioni realizzate da Stamaty sono un paranoico, ma a suo modo perfettamente logico, caos di fascinose minuzie e incredibili particolari, sono un invito ad andare sempre oltre, a immergersi sempre più, a rovesciare continuamente, a contrastare senza fine.
Perdersi rimanendo vigili, attenti, pronti a cogliere che al di là del piccolo dettaglio ce n’è uno ancora più piccolo che – voilà – capovolge qualcosa, che passata una visione se ne affaccia un’altra e che questa è la porta di un nuovo punto di vista che può far sorridere, stupire, perfino storcere il naso, se vogliamo.
Ma non importa: è un oltre. Ed è questo che conta.
In una città delirante, buffa e inquietante allo stesso tempo – che pare uscita da un sogno psicoanalitico o dal tendone di un circo beffardo – se ne va passeggiando un ragazzino, semplice, solitario, in equilibrio per vezzo di gioco sul crinale di un affollato marciapiede.
Giunge in prossimità di quella che sembra una discarica, o un cantiere, e qui trova un elmetto giallo, unico elemento di colore, scintillante e lucido, in un marasma di oggetti disegnati a china.
Lo indossa e non lasciandosi spaventare dalle dimensioni un po’ troppo abbondanti sul suo capino di bambino, se ne va, sorridente, reso quasi spavaldo, per la via che, nel frattempo, a suo dispetto forse, si fa ancora più caotica, brulicante di personaggi e cose, forme, dettagli strambi…
Il cappello si dimostra subito un gioiello di versatilità: può diventare una scaletta per quando non si è sufficientemente alti, una barchetta per il gatto, un funzionale parasole se si ha voglia di dormire tranquilli su un prato, un vaso capiente per portare in dono fiori alla mamma…
Nessun lamento, alcuna protesta: ciò che non appartiene si restituisce.
Ma tornati a casa, al sicuro in una cameretta in linea con la pittoresca babele della città, si può prendere un foglio e su questo disegnare un cappello, giallo, e poi altro, sempre giallo, sempre più grande finché non resta solo che riempire la carta con un giallo-giallo, uniforme, in apparenza, ma che racchiude ogni particolare, in realtà.
Poi prendere il foglio, piegarlo secondo un preciso origami a forma di copricapo e, calcandoselo bene in testa, tornare orgogliosi, felici e soddisfatti.
Come prima. Anzi, forse ben di più.
Talmente cristallino il senso, così vigorosa l’anima della storia, da rendere davvero l’albo uno degli inni più belli e limpidi al potere della creatività e della fantasia.
Un racconto che non necessita di interpretazioni, di re-narrazioni, che si staglia luminoso e sorridente, che si impone con candore e, allo stesso tempo, forza.
Disarma, allieta, meraviglia, incanta, perché con pochissime, misuratissime, essenziali parole, esorta i bambini: “Osate! Immaginate! Non demoralizzatevi! Create! Sentitevi forti e contate sulle vostre capacità!”
Quale messaggio più bello, e necessario, da lanciare ad una generazione in crescita, soprattutto ai nostri giorni?
Credo che ci si possano spendere giornate intere ad osservarle, non restando mai a corto di novità e di minuzie.
(come nulla mi toglie dalla mente l’idea che Stamaty si sia divertito assai nel realizzarle, quasi lo immagino perso nell’arte di dare con maestria vita ad un mondo folle…)
Il piccolo che si fa sempre più piccolo per rivelare il principio di un’altra realtà – le case, i negozi, perfino le intere città racchiuse in un dettaglio in apparenza semplice parte del tutto -, le dissonanze, le anomalie, gli sviluppi caotici, i particolari speculari, i ribaltamenti di prospettiva, le sorprese continue, le anatomie reinventate, i giochi di forme…impossibile elencare tutte le invenzioni racchiuse nelle tavole, forse difficile anche notarle tutte, se non dopo continue e accurate osservazioni.
Ed è probabilmente qui, in prossimità del senso beffardo, ironico e gustoso del paradosso, che il contrasto tra parte testuale e iconica si appiana, è qui che queste si danno la mano e invitano il lettore ad accedere con tutti i sensi all’erta ad una realtà parallela e onirica, dove non c’è un giusto e uno sbagliato, dove sopra e sotto si possono invertire, gli specchi fare il loro lavoro di capovolgimento, gli equilibri cadere o tenersi sulla punta di un ombrello, le emozioni farsi vive, quasi pungenti, ma capaci di non arretrare, di osare, sperimentare, leggere l’assurdo e saperlo ammirare.
Un albo, indubbiamente per chi di fantasia ne ha da vendere ma che, per tutto l’oro del mondo non la venderebbe mai!
(età consigliata: dai 4 anni)
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