Perché in effetti quello che mi pare si evidenzi
in questo testo è uno sguardo parzialmente impedito, un invito ed
insieme una preclusione a comporre la scena, mediante l'immissione di
elementi reali e oggettivi che tuttavia non aspirano ad ancorarsi alla
realtà, anzi la parcellizzano e la indicano come impossibile da
comprendere nella sua totalità, da "sapere". "Chi sa, non vola", dice
infatti De Pietro. Che è come dire che il sapere, la conoscenza o anche
la comprensione sono risorse sì, ma che possono trasformarsi in zavorre
per l'immaginazione, per tutto ciò che là fuori è possibile
"comprendere" con altri mezzi, per "un ritorno alle nuvole, ambìto". E'
quello che si intravede, per rimanere alla nostra suggestione, che
assume un'importanza più vasta, e non quello che si annette al novero
delle cose, alla loro nominazione/numerazione. "Dovrei rendermi canto e
quasi mai conto", sottolinea infatti il nostro con un gioco di parole.
Il testo, la scrittura, la poesia è strumento e metafora non di contezza
ma di un viaggio, per lo più effettuato ad alta quota, tra "le nuvole
disposte per le nostre teste, intorno" (corsivi miei),
giacché "non si spreme la realtà, al massimo si prenota un volo", una
autentica dichiarazione di poetica. La scelta di uno sguardo "parziale"
è qui tutt'altro che limitativa se lo sguardo (come nelle foto che De
Pietro ama fare) è idealmente costretto come ad allungarsi oltre
l'angolo, oltre la fine della frase, se insomma ogni frammento (ma
usiamo la parola per brevità) ha a sua volta la potenzialità di essere
un incipit, di diventare qualcosa d'altro, sia nel senso che dicevo in
altra occasione (v. QUI), cioè di biforcarsi in sentieri diversi, di speciarsi, sia in quello di non solo aggirare il senso ma anche di raggirare il lettore, deviarlo un po' con molta della leggerezza che è una delle qualità migliori di Giampaolo. (g.c.)
Mi alleno, ma non mi abituo mai ai palazzi dagli interni asettici, a fissare un volto di ministro senza e con rassegnazione. Volti asfittici grandi quanto tutti i pollici abbassati di una televisione.
Effettivo di scale, rametto, vivo morto offerto.
Dovrei rendermi canto e quasi mai conto, forse che le automobili pesanti e smaglianti hanno anche una loro utilità, oltre che quella di oltraggiare strade e sguardo. Le nuvole disposte per le nostre teste, intorno, dove e quando chi lo sa, a saperlo. Non si spreme la realtà, al massimo si prenota un volo, un fortunatissimo treno, un Orient Desiderio Express, per quando. Chissà se i passi hanno lungimiranza, agenda, pigrizia, certa chiaroveggenza. Un’esattezza coincidente fra un numero possibile di orologi, scadenze, appuntamenti, ricorrenze, liste e programmi, carie ai denti, mai nostri stipendi.
Un ritorno alle nuvole, ambìto. Fra delimitazioni e strisce pedonali passa un paese, e continua la nevicata di notte, la pastorale del rimandare a primavera, quando poi solo natura si vorrebbe, solo fatiche da fiore e fiori d’esempio per dire.
Il giorno stanca, ne usciamo saturi tutti esausti un tantino, di notte farà il suo turno di guardia, ombra, veglia.
Tutto quel lavoro da fare con le prime spine.
Del dialogo fra voci femminili qui dietro, afferro solo avverbi e qualche intercalare.
Pieno senso volatile, siamo stati inventati.
Mi piace di più se parli tu, libero me d’ascoltare.
Metti lo sguardo nel cassetto che vuoi.
Il treno aspettava e aveva posto per tutti. Una donna puntava ai binari, come dovesse trovarci oro, giocattoli per vecchi discorsi e cotone.
Ripartono i giorni al contare. Le strade nuove, nuove per il tempo di abituarsi. E io ci metto molto, quanto molto è una vita. Ci separi un binario. Attento ad attraversare. In poco, e di primo, e mezzo mattino. Quando ti rinfaccia aria l’aria di primo e mezzo colore. Una(per)ciascuno(s’)inspira(a)ognuno. Di noi passato prossimo di non facili cromie, mentre le gocce atterrate sul finestrino si spartiscono strade in durante. Piovere(tocc’a)ciascuno.
A strada di ogni lato e sfocio di ogni centro limite marginale.
Perché la vita parta a volte dalle dita. Da un Dio di mano a fin di bene passare sotto dentro una galleria, una galera a cielo aperto.
Chi sa, non vola.
Tu chiudi gli occhi, il labbro inferiore un po’ in disaccordo (discordia per un pensiero dritto specchietto per le allodole di una semplice paura).
*
Lungo l’armata delle nostre ombre
basterà attempare gli angoli
(Le foto sono di Giampaolo De Pietro)