di Iannozzi Giuseppe
Ci siamo trovati in Torino, proprio in quel caffè che frequentava Cesare Pavese insieme a Luigi Einaudi. Subito ci siamo salutati. Giancarlo De Cataldo ha una mano forte, calorosa. Si è messo a sedere. Gli ho chiesto se potevo registrare la nostra conversazione. Abbiamo iniziato a parlare prima a ruota libera, poi, centellinando una cioccolata calda le domande a De Cataldo sono venute spontanee.
Questo è il risultato.
«Il fatto è che ogni delitto mi affascina nell’intimo più profondo. Ci trovo sempre un chiodo fisso che entra in sintonia, che entra in contatto con le mie proprie paure: non escludo che in un’altra vita possa reincarnarmi in San Francesco o in Charles Manson. E’ così, la mente umana oltre ad essere un dedalo tende allo stesso tempo alla santità e al diabolico. Ciò è ancora più evidente quando il delitto di cui vengo a conoscenza coinvolge i miei rapporti con gli altri, la famiglia, i vicini di casa, le mie abitudini. Poi, essendo io uno scrittore, cerco sempre di darmi un’occasione per mettermi in mostra, spesse volte in maniera esagerata; amo l’attenzione mediatica, quell’interesse oppiaceo che a fine giornata mi fa esplodere la testa in milioni d’immagini di cronaca nera. Mi sento assassino anch’io, come nel più grande thriller che abbia mai letto, “Io uccido” di Giorgio Faletti. Faletti è un autore geniale, lo invidio, non posso farne a meno». Così parla Giancarlo De Cataldo.
Forse perché da piccolo non ha avuto su di sé sufficienti attenzioni? Perché parla di interesse oppiaceo?
«Quand’ero solo un bambino ho chiesto ai miei genitori un cagnetto, un volpino per la precisione. Non hanno mai esaudito questa mia modesta richiesta. E’ stato così che ho cominciato ad interessarmi di cronaca nera. Già allora sognavo di diventare un giudice. Ci sono riuscito, oggi sono giudice in corte d’Assise. Io guardo nell’utero sociale per strappare con le mie proprie mani le ragioni che inducono l’uomo al delitto. Per esperienza so che il particolare, il più insignificante e modesto, è in realtà l’indizio che porterà alla verità. I giornali oggi sono molto diversi da quelli di cinquant’anni fa. Oggi c’è maggiore informazione, il delitto viene dispiegato sulle pagine in tutti i suoi particolari, anche i più macabri e falsi: ma tutti sono utili all’opinione pubblica, difatti ognuno si sente protagonista e s’improvvisa giudice, Pm, portaborse, politico, macellaio anche. I media oggi sono scritti con il sangue altrui, enfatizzano. Io dico che è un bene e un male allo stesso tempo. Rimane però il fatto innegabile che io il volpino non l’ho avuto. Ho molto sofferto, sono rimasto segnato più di quanto lei immagina».
In che senso?
«Tutti mentono, anch’io mento. La legge è uguale per tutti? M’interrogo, non ho una risposta. Però la legge è uguale per tutti, solo che per alcuni è più accomodante, elastica, disposta a chiudere un occhio o anche tutt’e due. Non dimentichiamo che nel nostro ordinamento gli imputati possono mentire, ritrattare, dire tutto e il contrario di tutto, senza che questo sia motivo di sanzione. Tutto questo accade anche perché noi viviamo in un momento in cui il nostro processo è in crisi: una serie di leggi e di abitudini sbagliate l’hanno depauperato, ridotto a un meccanismo tortuoso, poco efficace. Per fortuna oggi i media, pur sempre nell’incompletezza della notizia diffusa, forniscono al cittadino la possibilità di giudicare, di distinguere il bene dal male. Il problema della stampa è che per avere una notizia completa occorre compulsare più di un quotidiano, in quanto la notizia è soggetta ad essere dispersa su più pagine di diversi schieramenti politici. Così per avere una notizia completa occorre leggere La Repubblica, La Stampa, ma anche Il Giornale e L’Unità. Recentemente Adriano Celentano ha detto pressappoco così: Ognuno nasconde una parte di verità. Ma in fondo si completano. Nel senso che si mettono d’accordo per non nascondere tutti e due la stessa cosa. Se il Tg1 nasconde la prima parte, il Tg5 nasconde la parte finale, in modo che nessuno possa dire niente perché effettivamente la notizia è completa… l’unico problema è che per vederla completa, siccome va in onda in contemporanea, la gente deve avere due televisori, uno a fianco dell’altro. Per me il ragazzo della via Gluck ha ragione. E’ un’opinione che mi sento di condividere in pieno».
Ora accade anche sempre più spesso che gli imputati non confessino mai. Perché?
«Parlare non conviene. Ogni avvocato fa gli interessi del suo cliente e nel farlo non può non consigliargli di non tacere. Ieri fare di professione il pentito rendeva, oggi non più: un pentito riceve a malapena un po’ di protezione. Non conviene a nessun imputato mettersi nei guai con le proprie mani. La professione del pentito non rende più, lo Stato italiano è diventato avaro, ma non si rende conto che così agendo lega le mani agli uomini di giustizia: senza pentiti la giustizia è impotente. C’è un altro fattore che induce gli imputati a non confessare: a nessuno piace d’essere chiamato assassino. L’assassino non ha scampo, non gli viene lasciato spazio, viene messo alle corde prima che inizi il primo round. Se io fossi colpevole di un delitto, lei crede che sarebbe furbo da parte mia dichiararmi colpevole? Prima d’essere giudicato da un vero giudice sono già stato giudicato dalla stampa, dall’opinione pubblica… Il processo si è già svolto oltre le porte dell’Aula. E’ il momento della catarsi. Ma questo accade in un contesto in cui il delitto porta esecrazione, orrore. Io sono colpevole, e me ne rendo conto anche perché il mondo mi guarda male perché sono un assassino».
Sta dicendo che gli omicidi godono quasi di una sotterranea e diffusa complicità?
«Ho l’impressione che alcuni gruppi sociali li guardino con simpatia. L’assassino viene indotto a pensare che farla franca è anche giusto. Lo sa chi sono gli unici che confessano oggi? Gli italiani, i poveracci, quelli che se rubano una mela finiscono a San Vittore: la chiave viene buttata, il caso archiviato. Gli italiani vengono spremuti, calpestati, umiliati. Una volta in carcere non escono più, e se qualcuno si ricorda di aprire loro la cella hanno oramai la schiena spezzata in più punti, finiscono quindi a elemosinare, ma qualcuno tenta di diventare un delinquente in piena regola perché oramai non ha più niente da perdere. Se oggi un extracomunitario finisce in galera il giorno stesso diventa un eroe, un martire e una vittima degli italiani e dello Stato italiano. Subito gli viene offerto di scrivere un memoriale… come minimo. Non dico però che per ogni extracomunitario che finisce dietro le sbarre arrivi il successo, di partecipare a Il Grande Fratello o a un programma più o meno simile. Tuttavia lo straniero in Italia è più tutelato che in altri paesi dell’Unione Europea, e spesso coccolato. E’ questo il motivo per cui i clandestini in Italia sono sempre di più».
E quali sono le cose che colpiscono di più nella nuova cronaca nera?
«I fatti di sangue riguardano soprattutto gli affetti, la famiglia. I delitti sono sempre dominati dalla passione e dai soldi. L’indulto promosso dall’attuale governo Prodi ha poi dato la spinta a delinquere. I crimini fanno scalpore sui giornali ma non vengono puniti nella giusta misura dalla giustizia. Abbiamo le mani legate: inutile mettere dietro le sbarre un assassino se dopo soli due anni torna a piede libero. I delitti passionali sono molti di più rispetto a ieri, sono aumentate anche le vendette trasversali. La decadenza dei valori morali ha reso l’uomo una bestia assetata di sangue. La politica è più forte di ogni valore etico, morale e religioso: Joseph Ratzinger non ha incontrato il Dalai Lama in visita in Italia, Romano Prodi farà altrettanto. La religione è diventata uno strumento pienamente politico che governa il Paese. Gli effetti negativi sono decadenza morale ed etica: una religione che è di sola politica spinge l’uomo nel baratro della violenza e della menzogna.
Fëdor Mikhajlovič Dostoevskij in “Delitto e castigo” esponeva l’idea di un esistenzialismo cristiano, la definizione dei limiti morali dell’azione umana entro un mondo governato da Dio: La verità autentica è sempre inverosimile. Per renderla più credibile, bisogna assolutamente mescolarvi un po’ di menzogna. In “Delitto e castigo” è ritratta la società, la nostra, la decadenza dell’uomo fino all’abbrutimento più bestiale. Una civiltà senza morale è destinata a finire, come Sodoma e Gomorra. Oscar Wilde diceva: tutti uccidono le persone che amano. Per citare un esempio estremo, un giovane schizofrenico ammazzerà più facilmente la madre, che è l’unica persona che si è occupata di lui».
E il ruolo della società in questo contesto com’è cambiato?
«E’ una società quasi del tutto ignorante.».
In che senso?
«Perché ignora l’altro. E’ una società anaffettiva, amorale. Una società dove la religione è politica al cento per cento».