Gianmario Lucini, SAPIENZIALI

Da Narcyso

Mi aveva chiesto di scrivere la prefazione a SAPIENZIALI, il suo libro sicuramente più alto e compiuto. La ripropongo per un ricordo e per unvito a leggerlo.

Poesia come evangelium

La poesia contemporanea è ancora intrisa di presagi, e cioè del peso della sua storia testamentaria. Oserei dire del peso della sua prigionia. Provare a scrivere, oggi, vuol dire dunque fare i conti con la tradizione e, tradendola, consegnarla alle generazioni future.

In questo caso Gianmario Lucini fa i conti col libro dei libri, e in particolare col tema dei precetti e dell’indignazione, legati a una traduzione nella practica di una qualche forma di salvezza.

Il libro quindi, si confronta con l’aspetto di didachè della parola, potremmo dire parola di Dio o parola della poesia non importa: perchè nel primo caso la parola si confá alla realizzazione del progetto della Legge, del suo svelamento nella storia della Comunità – quella che poi sará chiamata Ecclesia – ; nel secondo caso, ed è l’intento di poeti come Lucini, la parola poetica rinuncia al responso della sibilla per entrare nel teatro, cioè il luogo, ancora una volta comunitario, di un’Assemblea che si ri/conosce, questa volta,  nella parola derivata dal gesto, dal dramma di  una medesima storia condivisa.

Ecco allora assistere a un dialogo con i grandi temi della civiltà occidentale e che la Bibbia riassume e ci consegna, per esempio nei salmi: inni, lamentazioni collettive ed individuali,  ringraziamento, pellegrinaggio, sapienza, preghiera, profezia.

Ma anche con gli stili: la prosodia dei salmi, appunto, (psalmòi, parola accompagnata dal canto, quindi metricalmente strutturata);  le parole di colei che anima il discorso, (la forma monologante e sostanzialmente polemica dell’Ecclesiaste); il melos del Cantico dei cantici: canto di ricongiunzione, attraverso la sensualitá, tra il divino e l’umano: temi giunti fino a noi attraverso la mediazione del nuovo testamento – mai si sottolineeranno abbastanza gli aspetti ebraici connessi al Gesú di Matteo, e cioè quel grande fenomeno delle citazioni testamentarie presenti negli evangeli  che traghettano  i grandi temi del vecchio testamento nella storia del cristianesimo, e quindi della nostra, attraverso, sopratutto, il ruolo delle profezie e la sapientia della Legge – .

Lucini sa cogliere, quindi, sia la complessità dei temi, sia il modus; si potrebbe dire che, la pratica delle citazioni e delle fagocitazioni stilistiche da lui messa sapientemente in atto, autorizzi a considerare questi testi come απόκρυφος (apocrifo), grande variazione intorno alla verità, evangeliun esso stesso, della realizzazione del senso nuovo della parola poetica nel mondo.

Che si tratti di un progetto di rinnovamento, Lucini lo dichiara apertamente attaccando subito con le parole del salmo 97, “Troveremo un canto nuovo”, eco dei momenti epocali di passaggio in cui la Storia esce dal suo stato di opacità per rivelarsi come Progetto.

Lucini sembra aver riflettuto profondamente anche su un’altra questione, forse la piú importante: e cioé la presenza, giá nella Bibbia, di un titanismo/eroismo umano saldamente radicato a un’idea di resistenza –  mi sono chiesto assai spesso quali siano i debiti che una figura come Prometeo debba per esempio, al Giobbe, o all’Ecclesiaste –  .

Questi progetti di resistenza, in primo luogo verso una deitá che si nasconde dietro il suo stesso nome impronunciabile, e quindi dietro il suo vuoto,  sono possibili solo in quanto l’uomo moderno Lucini riconosce nel dolore il mezzo in grado di  alimentare la parola dell’intento di una nuova resistenza:

“Abbiamo bisogno di sangue nuovo /perché l’era è finita coi suoi idoli stanchi;/non hanno più i sogni fondamento,/il sonno non porta che incubi e tremori/- e soltanto sognando sogni veri/faremo rifiorire la bellezza -.”

E’, insomma, la cifra della sopraffazione la vera musa di questa poesia: il capire che la modernità non è un concetto sincronico. All’idea di una modernità come salvezza, o di un tempo unico, irripetibile, in cui si realizza la parusia cristologica, possono ribattere le parole antiche  di Geremia, quando ci ricorda che  la guerra, dentro e fuori le nostre case, è un evento della Storia intera.

« Si son consunti per le lacrime i miei occhi, le mie viscere sono sconvolte; si riversa per terra la mia bile per la rovina della figlia del mio popolo; mentre vien meno il bambino e il lattante nelle piazze della città. »

(Lam 2,11)

Parole a cui risponde Lucini:

“Che farai, Geremia contro tanta lascivia dei sensi, che farai/contro eserciti di automi e generali decerebrati/che non sanno distinguere il desiderio dalla legge?/Te ne andrai sospinto dal vento dell’Essere che scalpita/e il suo posto rivendica al centro di tutte le cose?/Te ne andrai col vessillo alto della bellezza/per farti massacrare dalle macchine del fango?”

Tutto il libro è costruito secondo un dialogo incessante tra le grandi domande poste dagli antichi testi e il tentativo di riportarle al senso di una perdita e di una ricongiunzione nel moderno. Questo è possibile perchè Lucini individua il senso profondo della propria realizzazione nell’intimità della scoperta del nostro ruolo nel mondo, nella Storia. “Ma tu non puoi tacere se questo è il tuo destino”. Il dolore diventa così un’arma di conoscenza, il limite che oppone resistenza e sopraffazione: “Voglio soffrire per quello che è andato senza un saluto/per ciò che oggi per sempre è finito.”

Sebastiano Aglieco


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