L’Africa non esiste è un originale “diario di viaggio”, come lo ha definito il noto scrittore di gialli, ma anche redattore del blog Nazione Indiana e autore di saggi su Pasolini e Proust. Racconta dei viaggi in Africa intrapresi da Gianni Biondillo al seguito di varie ONG. Cinque capitoli sono dedicati a ciascuno dei Paesi visitati: Ciad, Etiopia, Eritrea, Egitto e Uganda; ne seguono altri due che raccontano viaggi immaginari nel deserto del Sahara e nel cuore del Mali. Senza adottare lo sguardo del giornalista che va alla ricerca di notizie né quello dello scrittore che cerca cenacoli intellettuali o autori autoctoni da conoscere, l’autore si è immerso nella realtà africana dopo essersi promesso quanto segue: «Non ti permettere di piangere. Non ne hai il diritto. Ridi». E credo abbia mantenuto la parola, anche grazie al suo approccio aperto, attento e curioso, ricco di umanità e sensibilità, di autoironia e di disponibilità alla messa in discussione dei propri riferimenti.
Gli interessi culturali e professionali non sono lasciati a casa dunque. Gianni Biondillo porta con sé tutta la sua identità di intellettuale europeo bianco, e senza alcun senso di colpa. Il che non è tra gli ultimi motivi di interesse del libro, in cui non c'è traccia di idealismo o esotismo o proclami retorici. Quello di Biondillo è il viaggio che ognuno di noi potrebbe fare se partisse dopo essersi liberato degli occhiali deformanti che trasformano l'Africa nello stereotipo diffuso da troppi media, esclusa certa editoria indipendente soprattutto del web, di cui molti però non conoscono l'esistenza. Quello stereotipo è l'Africa che non esiste.
«Tarzan ci ha fregato», sostiene lo scrittore. Quell’idea di primitivo che noi associamo al continente africano è un luogo comune. L’Africa presente nel nostro immaginario di eurocentrici non esiste. Se si pensa all’Africa, non scatta immediato, nella maggior parte di noi italiani ed europei, il richiamo alla preistoria oppure ai bambini affamati per cui piangere e mandare due euro con un sms? Ma l’Africa è il continente «fuori scala» che i luoghi comuni ci restituiscono immobile e falsato. Sarebbe come pensare, ha detto Biondillo, di accomunare un lappone a un siciliano o un portoghese a un cinese. O un tunisino a un sudafricano. E a parte questo, «l’Africa non esiste; esistono le persone».
E per le persone che sono nate e vivono in Africa «il buonismo è una malattia». E si entra così nel crogiolo-kermesse dei cosiddetti aiuti umanitari. Biondillo ci ha raccontato il suo incontro con un medico ugandese. All’ospedale in cui lavora è stato donato un macchinario all’avanguardia. Il dottore lo mostra quasi dispiaciuto allo scrittore, che rimane stupito dell'assenza di entusiamo del dottore. È che quel
L’Africa non esiste non fa solo riflettere. Racconta storie e incontri emozionanti che ci portano tra l'entusiasmo dei volontari e tra le violenze inflitte ai bambini soldato ugandesi come Geoffrey e alla sua sposa bambina Nighty. Si incontrano tante persone nel libro di Biondillo, tante realtà diverse, società in movimento, cariche di passato ma anche protese verso il futuro.
L’Africa ha dunque regalato a Gianni Biondillo un romanzo, paesaggi e incontri che valeva la pena e che doveva raccontare, una consapevolezza forte che ha voluto condividere con noi. «Ora so che dell’Africa non sapevo niente, e che ora ne so anche meno». Ogni suo viaggio in Africa non ha fatto che distruggere qualcuno dei pregiudizi radicati anche in lui che, forse, pensava di non averne. Se voi appartenete alla categoria di chi si crede esente da preconcetti, potrebbe farvi bene ascoltare questo aneddoto raccontato da Biondillo. Un giorno sua figlia Laura gli disse che Michela l’aveva fatta davvero arrabbiare. "Chi è Michela?", chiede il babbo. "Quella che è alta più o meno come me." Il papà non si ritrova. "Quella con gli occhiali." Niente. "Quella con i capelli ricci lunghi fino a qui." Il vuoto. Finché la piccola dice: “Quella che ha il colore della pelle un po’ marrone”. La luce si accende. Del resto i pregiudizi sono ubiqui, fisiologici e reciproci. In ismaili noi siamo chiamati “muzungu”, di solito tradotto con “uomo bianco”. In realtà significa “strampalato, curioso”. In Kenya si può sentir dire, con tono spregiativo: “Quello lì è un congolese”. Di fronte allo sguardo incredulo di un europeo, la clausola chiarificatrice è: “Ma non vedi che è più nero?”. Curiosa è la storia che circola a proposito dei somali cristiani che vivono nel Sud dell’Etiopia musulmana. A Addis Abeba si racconta che Dio creò le industriose api, ma anche le mosche per disturbare il loro mondo ordinato e produttivo. Per gli etiopi, che mosche sono quei somali!
Ciò non toglie che l'idea dell’Africa smerciata in Occidente non esista. Noi italiani ed europei, per Biondillo, come per la sottoscritta, abbiamo «il diritto-dovere di guardare finalmente all’Africa come a un vicino di casa, anche dal punto di vista culturale»; di toglierci di dosso i pregiudizi che pensiamo di non avere; di finirla di ritenerci superiori, ché superiori ci consideriamo troppo spesso, anche quando ci sentiamo gonfi di compassione per i “poveri” abitanti di quel continente “dilianato da carestie e guerre civili”
Gianni Biondillo ci porta nell'Africa che esiste. Quella in cui bambine come Nighty vengono rapite, mentre nell'Eritrea che impone il servizio militare a vita si proietta X-Factor. Se volete iniziare a conoscere qualcosa di quel continente senza lenti di qualsivoglia colore, divertendovi ma pronti a vedere sgretolarsi le vostre convinzioni e pre-conoscenze, L'Africa non esiste è un ottimo inizio.