Gianni TettiMette pioggiaNEO.pagg 201 € 14
Non lo troverete in classi/fica (anche se meriterebbe), perché la Narrativa italiana di alto livello, quella scritta da Scrittori puri, non abita più lì da un bel pezzo, e la colpa (vogliamo avere il coraggio di dirlo?) è anche un po’ di noi lettori, pigri, boccaloni e manipola-bili. (All’oligopolio bullesco che usa slealmente le proprie testate come grancassa pubblicitaria non è obbligatorio rispondere ‘Gnorsì: si potrebbero modulare pure delle belle pernacchiozze, e pensare con la nostra testolina…)
Mette pioggia, il primo geniale romanzo di Gianni Tetti, è un testo apocalittico che si potrebbe (sbagliando) definire kinghiano, se non fosse così diabolicamente ghignante, ipnotico, spiazzante, postmoderno e originale. Originale come oggi quasi nessuno scrit-tore italiano extra-Neo sa più essere.Va in scena – un giorno alla volta, e ogni giorno ha una voce diversa – nientemeno che l’ultima settimana dell’umanità, in tempi in cui tale evenienza ci risulta tutt’altro che incredibile (e anzi, a volte, vien quasi da pensare che avere ancora ben sette giorni sia inguaribile ottimismo…)Sullo sfondo come nei primi piani, una Sardegna folle, psicotica, sciroccata, allucinata, selvatica, sanguinolenta, impicchereccia e sconcertante che ricorda in modo vago quella dell’adelphiano Niffoi, però più attuale e divertente, con contorni più vivaci e un nocciolo più vero, più rivelatore dell’odierna nonpensante rincolandia (di emanazione più o meno televisiva) che sta inghiottendo (anche a colpi di app) quel che restava dell’umano pensiero. Ed è tutto più inquietante proprio perché suona tutto vero: la normalità del delirio, o per meglio dire il delirio della normalità, rispetto a cui la fine oggettiva del mondo umano diventa decisamente il meno. (E forse è proprio questo che vuole dirci il libro: l’apocalisse è già qui, ma è interiore).
Mette pioggia è un succoso e saporito romanzo diviso in paragrafi brevi e staccati, molti dei quali ti regalano la soddisfacente impressione di aver letto un miniracconto, perfettamente cesella-to: incontri il salto e ti fermi, non per una pausa suggerita dal testo, ma per assimilare il paragrafo appena assaporato, magari metterti proprio a rileggerlo, ché per fortuna nelle cose intelligenti e superiori della vita (come appunto leggere bei libri) fretta proprio non ce n’è.
Di sangue ne scorre parecchio, ma chi lo usa come inchiostro su queste pagine sa diluirlo con l’ironia e l’imprevedibilità, e soprattut-to è sempre attento a non scadere (è troppo avveduto, Gianni) in quel facile “cannibalismo” anni 90 di cui nessuno, ma proprio nessuno, sente la mancanza. Il finale è incalzante, e obbliga anche il buongustaio più slow food a smettere di sgoduriare e ruminare, per lasciarsi trasportare verso l’inevitabile epilogo.
Nel complesso, il lettore si ritrova davanti a 200 pagine così godibili nel loro trascinante incedere che ne vorresti ancora, e ancora e ancora…
Ci sono anche molte bellissime parolacce, alla faccia dei cani da purga alla putiN, e della disarmante dabbenaggine di chi non ha ancora capito che oggi la volgarità ha cambiato casa e quartiere, e abita semmai nello squallore delle vuote banalità tecnoglionite, modaiole e gossippare, e non certo nelle parole cazzo merda e vaffanculo (quando ci vogliono), e in chi sa usarle per produrre effetto comico o realistico. Non a caso in queste pagine ci ho visto anche un po’ di Bukowski e di Céline, che a “parolacce” non scherzavano.
Gianni Tetti
Gianni Tetti è uno di quegli autori intelligenti, brillanti e pieni d’inventiva, così rari e preziosi, che magari vengono rifiutati da certa editoria proprio perché troppo intelligenti, brillanti e pieni d’inventiva: non sono abbastanza soporiferi per il Ramo Valium (che altri chiamano letteratura colta) e non sono abbastanza stupidi e banali per il Ramo Lassativi (che altri chiamano letteratura pop).Ma per chi ama nutrirsi di Scrittura, leggere Gianni Tetti è una libidine. Di alto livello.
Dimenticavo: se e quando farete l’acquisto, online o in libreria, suggerisco ai più golosi e incontentabili di aggiungere anche i racconti del delizioso libro d’esordio di Gianni, I cani là fuori, con cui già aveva sfoderato il suo talento.
Merda, lo so: anche quest’anno, senza provare vergogna e senza paura di farvi passare per sempre ogni voglia, vi diranno di leggere roba scritta da cuocibietole invasati e da spogliarelliste petulanti, da cantanti e cineasti, da deejay e da cagnacci, da giornalistozzi-Dickens e da cespuglietti che hanno vinto alla tv, e dai tanti, troppi secchioncelli viziati, noiosi e “costruiti” per i quali la scrittura è un pesante lavoraccio, e si vede (“Perché lo fanno?”, si chiedeva giustamente proprio lo Zio Buk. Mah.)Fidatevi poco.Io invece mi ostino a dirvi di leggere Scrittori. In italiA scarseggiano e stanno per estinguersi (ancora sette giorni, forse qualcosina di più?). Ma ci sono.Per cui.Non fatemi incazzare.
Parola di Scriba.