La partita diviene così specchio della vita, presente e passata, della coppia, portando lentamente in superficie i veri caratteri dei protagonisti. Ecco che Fonsia, all’inizio personcina indifesa ed ingenua, quasi candida, dopo le iniziali vittorie (fortunose?) lascia trapelare il dubbio, ben presto certezza, che si tratti invece di una simpatica bugiarda, abile nel gioco e tutt’altro che sprovveduta; di contro, il povero Weller, al principio sicuro di sé e guascone, mostra il suo vero io che è poi quello di un irascibile, bestemmiatore incallito, incapace di qualsiasi autocontrollo. Il tavolo verde è una vera calamita per i due protagonisti che fingono di volerne stare lontani, quando invece ne sono irrimediabilmente attratti, rivelando la loro anima, che ci ricorda assai da vicino quella de “Il giocatore” di Fëdor Dostoevskij, completamente succube del fascino brutale del gioco. La commedia di Coburn, assai garbata, è così pronta a disvelare con maestria ciò che provano i protagonisti, totalmente pervasa com’è di esilarante comicità, con la Valeri e Ferrari, davvero incredibilmente straordinari, che, grazie alla loro grande presenza scenica, riescono a portare totalmente in luce ogni anfratto dell’animo umano scoprendone anche la più sottile sfumatura. Diviene, dunque, quasi semplice rispecchiarci in quanto rappresentato sul palco: possiamo facilmente trovare qualcosa delle nostre manie e fissazioni, ma soprattutto dei nostri vizi e delle nostre maschere che ci rendono così difficile rapportarci sinceramente con noi stessi e, soprattutto, con gli altri, scoprendo brutalmente il marcio che alberga in ogni essere umano e che, con tanta cura e sollecitudine, cerchiamo di celare. Come dice ad un certo punto Fonsia, «forse saper perdere con dignità è la più grande vittoria!». Gli scroscianti ed interminabili, calorosi, applausi finali sono il sincero e sentito tributo di un pubblico soddisfatto a due grandissimi attori che hanno saputo regalare momenti di profonda riflessione in un contesto di apparente leggiadria. Raggiungiamo l’uscita del teatro, finalmente di buon umore, proprio come dopo aver preso parte ad una sorta di catarsi collettiva.
Gli scatti inseriti nell’articolo sono stati gentilmente concessi dal Teatro Duse di Bologna – Fotografie di Federico Riva