Ginger e Fred

Da Iomemestessa

La citazione (ammesso che sia stata effettivamente pronunciata) è da attribuirsi a Ginger Rogers: “Sulla scena facevo tutto quello che faceva Fred Astaire, e per di più lo facevo all’indietro e sui tacchi a spillo”.

Mi è tornato in mente in questi giorni di 8 marzo, tra mimose puzzolenti, femminismo d’accatto, parità da imporsi per legge e sciami di signore in età, con un gusto perverso nel vestire, che molestano inermi camerieri di pizzerie.

Non entro nel merito di parità e alternanze di genere sulle liste elettorali. Il concetto alla base è discutibile (non debbo alternare generi, ma immettere intelligenze), ma il problema (serio) è che a vederli, sembra che quel che si alterna valga poco a prescindere dal sesso.

Ho trascorso, professionalmente, vent’anni in un ambiente ad alto tasso di testosterone. Quando ho iniziato, le donne erano figure di back office, e quelle che calcavano la scena eran poche davvero. Le ricordo sulle dita di una mano. Adesso son aumentate. Ma di mani ne bastano comunque due.

Sono stata discriminata? No. Quello mai. Guardata con un misto di curiosità, sospetto e perplessità, certamente sì. Almeno all’inizio. Dopo, assunto un ruolo, e creatami una repurazione, ho ricevuto rispetto. Scazzi epocali magari, ma professionalmente, molto rispetto. E comunque, i sorci, me li han fatti vedere, per lo più, quelle donne che stavano sulle dita di una mano. Solidarietà di genere, verrebbe da chiamarla.

Eppure, col senno di poi, li ho compresi, e giustificati, tutti.

Possiamo dire le cose come stanno? Senza fingimenti, che tanto lo sapete, qui, il politically correct, ha poco riscontro?

Giustifico quelle donne, aggressive, durissime, più dure degli uomini, che ho conosciuto ad inizio carriera. Se è stata dura per me, non oso pensare per loro, vent’anni prima. Con loro potevi puntare solo all’eccellenza, perchè eccellenza era quello che loro avevano sempre dovuto esprimere.

Giustifico anche i timori, le perplessità e la sostanziale diffidenza dell’universo maschile. Non è del tutto vero il fatto che una donna per trovarsi lì debba essere ‘meglio’. Però è un dato che debba essere ‘altrettanto’. E non avete idea di quante ragazze in questi anni ho visto passare come meteore, convinte che ‘altrettanto’ significhi egual retribuzione e un occhio di riguardo verso il loro essere donne. Non funziona così, spiace.

La parità, quella vera, le donne per raggiungerla fuori dovrebbero ottenerla anzitutto tra le mura domestiche. E non parlo di spicciare le faccende. Parlo della cura dei bambini o degli anziani. Se osservate, vedrete che la mezza giornata di permesso per portare il nano dal pediatra, il nonno dal medico, la vecchia zia dall’oculista, la prendono sempre le donne.

Direte, beh, quei permessi esistono, possono essere sfruttati, e vengono sfruttati. Tutto vero, tutto corretto. Però, la fruizione di quei permessi genera comunque un disagio all’organizzazione. E di quel disagio, inutile girarci intorno, si terrà conto, quando verranno decisi i percorsi di carriera. Perchè, in certe posizioni, non sono solo le conoscenze, le competenze e le abilità ad avere un valore, ma anche l’affidabilità.

Sono donna, e sono mamma. E so di cosa parlo. E so che esistono situazioni in cui non se ne può fare a meno. Però, permettetemi, in Italia c’è una percentuale di gravidanze a rischio superiore del 40% rispetto alla media europea. Quindi, o siamo di fronte ad una debolezza strutturale delle donne italiane (e permettetemi di dubitarne) o c’è un abuso che parte, in alcuni casi, mezzora dopo che l’ovulo è stato fecondato.

Conosco casi, e non sono numeri residuali, di gravidanze che tra pre e post son durate due anni. Che il posto di lavoro debba essere conservato e le mansioni sin lì raggiunte debbano essere mantenute mi pare oltre che doveroso una conquista sociale, ma avere a quel punto la pretesa che il tuo percorso di carriera non subisca un passaggio a vuoto o uno stop, mi pare ridicolo.

Non sono una schiavista, credo nei diritti sin qui conquistati, ma solo un demente promuoverebbe ad un posto chiave qualcuno che potrebbe potenzialmente scomparire dagli organigrammi aziendali per un altro paio d’anni. Torniamo al discorso di prima, è un problema di affidabilità. Ti verrà preferito qualcuno forse meno abile o titolato, ma senz’altro più affidabile.

Son discorsi crudeli? Forse. Però occorre essere oneste. Certi atteggiamenti, oltre a generare una diffusa e, questa sì immotivata, sfiducia verso il genere femminile, danno luogo a comportamenti che nei casi specifici non rappresentano nè un abuso nè una discriminazione, ma una precisa scelta organizzativa. Oltretutto condivisibile.

Se si ritiene che la propria carriera abbia e, debba seguitare ad avere, un valore, allora occorre chiarezza soprattutto all’interno delle dinamiche familiari. E chiarire che tutti i componenti di quella famiglia debbono contribuire, nel limite delle loro possibilità, al diritto di ciascuno di realizzarsi professionalmente. E laddove queste possibilità non vi sia, o sia limitata, attivare tutte quelle reti di aiuto che rendano possibile questa realizzazione.

Perchè, siamo onesti, quanto sopra si applica a situazioni comunque di carriere con un certo percorso, con un retribuzioni medio alte (più alte che medie, soprattutto nel privato) che rendono una baby sitter o un nido privato un sacrificio serenamente affrontabile.


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