In modo particolare mi ha affascinato un punto di vista dentro il quale mi ha letteralmente cacciata. Un prisma spazio-temporale dal quale osservare il mio lavoro.
Mi ha chiesto cioè di distinguere le tre fasi dell’evento (pre-evento, l’evento e il post-evento) e due dimensioni: tempo e spazio.
Penso che sia condivisibile pensare a un evento come a qualcosa che accade in un dato tempo e dentro uno spazio limitato. Il tempo è effimero, nel senso che l’evento esiste tra un prima e un dopo. Lo spazio subisce di conseguenza una trasformazione dovuta a questa temporalità limitata.
La domanda precisa del questionario era:
Qual è la sua esperienza di tempo e di spazio nelle tre diverse fasi dell’evento?
Per rispondere devo chiarire quale è la definizione che io dò alle tre dimensioni.
Il confine tra post-evento e pre-evento, per chi lavora a un evento annuale e ricorrente come me, è, infatti, sfumato. Lavorandoci tutto l’anno e ogni anno, il post-evento diviene quasi subito un pre-evento . Pertanto, nella mia personale percezione di queste tre fasi, rilevo questa distinzione:
- Pre-evento: fase di progettazione
- Evento: fase di implementazione ed evento vero e proprio.
- Post-evento: fase di analisi, feedback, de-briefing
Partiamo dunque con il gioco!
Qual’è la mia esperienza del tempo e dello spazio nel pre-evento?
Tempo: è meravigliosamente dilatato, le scadenze sono lontane. È la fase del riposo mentale, della ricerca. È il periodo più creativo dell’anno. Non incombono appuntamenti né dead-line e la mente può scegliere i suoi tempi per essere produttiva.
Spazio: è meravigliosamente libero. Il luogo dell’evento torna alla sua veste ordinaria, il mio ufficio si fa calmo. Anzi, in questa fase di pre-evento il mio ufficio è ovunque: alla scrivania, in una città, nel bosco, a casa.
Mi viene in mente un articolo che racconta molto bene questa fase, quella progettuale e ne riporto uno stralcio: “É risaputo, infatti, che nelle menti dei creativi le idee si formino per caso, tra una sigaretta e un caffè, uno spritz e una chiacchiera, un pisolino e un filarino, un happy hour e un dirty week end, addensandosi in nuvole progettuali i cui piovaschi precipitano sui desktop Apple con la stessa naturalezza con cui a Woolsthorpe Manor le mele si frangevano sul cranio di Isaac Newton”.
Qual è la mia esperienza del tempo e dello spazio nell’evento?
Tempo A – fase implementativa: il tempo è scandito in modo scientifico su una finestra Outlook. Riunioni, presentazioni, sopralluoghi. È quadrato e rigoroso. Le ore della giornata, nelle tabelle guida, indicano ogni singola attività, dagli incontri, alle mail, al lavoro di concentrazione. È il tempo dell’orologio al polso e delle priorità o delle urgenze. Il tempo delle regole e dell’autodisciplina.
Spazio A- fase implementativa: lo spazio è il luogo esteso dell’evento, l’ufficio e la sala riunione, la valle, la provincia. Eventuali salti in spazi diversi sono brevi e finalizzati all’evento. Per me, per il mio lavoro, in questa fase lo spazio è montagna.
Tempo B – evento vero e proprio: Outlook sparisce. Il tempo si restringe in un attimo e tutto accade contemporaneamente. È l’onda che arriva, l’onda che ha vita breve e va cavalcata con abilità subito, immediatamente. Farla passare senza cavalcarla significa fallire. La sveglia è all’alba. Il letto mi rivide a tarda sera. È il tempo in cui la sveglia deve suonare. E il tempo in cui anche se non suona, gli occhi alle 6.00 si aprono da soli. È come un casello autostradale nelle ore di punta. Migliaia di puntini che scorrono nello stesso istante e nello stesso … spazio
Spazio B – evento vero e proprio: lo spazio si riduce metaforicamente al casello autostradale delle ore di punta. È un triangolo tra ufficio, area di gara, e venues satelliti. Il mondo si restringe, da globale nel pre-evento diviene un villaggio di quattro cantoni. L’universo scompare. Esistono solo quel punto e quel luogo.
Qual’è la mia esperienza nel post evento?
Tempo: il corpo e la mente sono ancora dentro il tempo schizzato dell’evento e mi costringo a riportarlo nella scia dilatata. È una transizione tra il tutto subito e il rispettare scadenze e outlook senza dover tuttavia cavalcare onde. La carovana è passata. Il tempo naturale riprende vita. È il tempo del sollievo. Del disattivare la sveglia, del costringersi a fare con calma.
Spazio: è una piazza dopo il mercato. Ci sono pezzi e avanzi ovunque che vanno buttati via o immagazzinati. Lo spazio nel post-evento è decadente. Visivamente fa vedere come, là dove prima c’è stata vita, ora non c’è più nulla. Ed è transizione dal casello autostradale delle ore di punta ai boschi silenziosi e ai meleti di Isaac Newton.
Nei primi anni, questo spazio era intriso di nostalgia, di un senso di vuoto, di abbandono. Oggi è lo spazio del sollievo, del pregustare gli spazi globali.
Passo la mano, il gioco a voi.
Rubando queste domande alla studentessa romena, spero di riuscire a stimolare via linked-in o in questo post una risposta collettiva, o meglio una risposta orchestrale. È vero infatti che tempi e spazi in un orchestra sono diversi per ogni singolo strumento e la percezione del prodotto finale, per quanto armonica, cambia per ogni singolo strumento. E allora:
Qual è la vostra percezione di tempo e spazio nel pre-evento?
Qual è la vostra percezione di tempo e spazio durante l’evento?
Qual è la vostra percezione di tempo e spazio nel post-evento?
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