Gioco di squadretta

Creato il 20 giugno 2011 da Giorgiocaccamo
Non sono mai stato sensibile al cosiddetto fascino della divisa. Non ho a prescindere particolari simpatie né antipatie nei confronti delle forze armate o di polizia. Apprezzo chi fa seriamente il suo lavoro, credendoci davvero e con vero spirito di servizio e sacrificio. Quando ho lavorato in carcere, ho visto quant'è difficile il lavoro della polizia penitenziaria. Ho profondo rispetto - al punto di incazzarmi - per chi fa un lavoro duro, con turni assurdi, senza alcuni diritti e per una paga che persino il più filo-militarista dei cittadini troverebbe ridicola. Ricordo un poliziotto alla questura di Bologna che alle undici e mezza di sera non aveva ancora cenato per il tanto lavoro. Riconosco che la divisa della polizia mi ha tranquillizzato in alcuni momenti (stazione di Bologna, tre di notte, battibecco con un tossico). E parlo io che grazie alla mia faccia, che tradisce il passaggio degli Arabi in Sicilia, mi sento spesso chiedere da gente in divisa: "Scusi, parla italiano?". Naturalmente non sto neanche a parlare delle grandi operazioni antimafia o antidroga nelle quali carabinieri e polizia rischiano la vita per il dovere. Mi infastidiscono invece la retorica e la strumentalizzazione di certa politica, che alle forze dell'ordine taglia i soldi per la benzina e per la carta da fotocopie, ma poi compra aerei da caccia per bombardare qua e là.
Proprio per tutti questi motivi, però, non tollero i soprusi, le violazioni, le vessazioni, addirittura le violenze di cui si macchiano (e le macchie qualche volta sono rosse...) certi rappresentanti delle istituzioni con l'uniforme. I casi sono troppi, tutti diversi l'uno dall'altro. La morte di Federico Aldrovandi e quella di Stefano Cucchi, il caso di Gabriele Sandri, per non dire dei fattacci del G8 di Genova nel 2001. E ce ne sarebbero, purtroppo, tante altre vicende che offuscano il buon nome di quegli uomini e quelle donne in divisa onesti cui va il mio rispetto. Ma io non parlo di mele marce: non sopporto l'idea che vengano minimizzate o giustificate le malefatte commesse da chi crede di potersi nascondere dietro un'uniforme. Quello che è successo a Palermo mi provoca rabbia e disgusto. Ricordate il povero Noureddine Adnane, l'ambulante marocchino morto il 19 febbraio dandosi fuoco in piazza? Già mi aveva inorridito quella vicenda, ma i risvolti più recenti mi fanno ancora più schifo. Non era Noureddine (per i palermitani, Franco) a sentirsi perseguitato. Lo era davvero. I "vigili della squadretta", gli ambulanti li chiamano così. Dieci vigili urbani, tra agenti e ispettori, sono stati indagati dalla procura di Palermo per una serie di reati che già solamente elencati fanno ribrezzo: calunnia, lesioni, abuso d'ufficio, falso ideologico e falso materiale. Controlli esasperanti, verbali fasulli, sequestri abusivi, accuse costruite. Perché? Per aumentare le statistiche positive della squadra, anzi "squadretta"? Per far bella figura? Per sembrare inflessibili agli occhi delle istituzioni romane/padane? O più semplicemente, schifosamente, ignobilmente, per razzismo?
Persino una persona che non rientra tra le mie simpatie, il presidente del Senato Renato Schifani, si diceva sconvolto per la morte di Adnane e chiedeva una rigorosa indagine amministrativa da parte del comune di Palermo. Forse il sindaco Cammarata era in barca e non ha sentito il richiamo della seconda carica dello Stato.

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