Un uomo, una penna, una pena, una noia:
speriamo che tutta la gioia
manipolata non sia
geneticamente
ma sfiorata da mani di fata, da niente
che male faccia o male sia.
Quasi quasi mi metto una bomba
dentro me stesso, dentro questo vuoto d'essere
per vedere se ancora più a fondo
possa andare, alle dimesse
vestigia d'uomo destinato alla tomba:
povero cavernicolo, ossa sparse,
già di per sé abbastanza fossilizzato
da tristi legami.
Ma tu dimmi se in fondo mi ami
così esisto, resisto, mi vedo
mi distinguo tra le comparse.
E se esco lo schiaffo del vento
mi regala un sorriso
e non il ghigno perennemente spento
che trasforma in muso il viso.
(Così sento la mia faccia disegnarsi
ritrovare un profilo che temevo perduto
che qualcuno un tempo aveva visto nel muto
ritratto di un pianista del Cinquecento).