(quadro di Paolo Fresu)
È datato 1981 questo raro filmato con l'intervista di Giorgio Manganelli a Mangiafoco (interpretato da Vittorio Gassman), per la regia del "burattinaio" Mario Monicelli.
Pinocchio rappresenta per Manganelli quasi una dichiarazione di poetica. Era particolarmente legato al burattino, icona di tutto ciò che pensava e sosteneva intorno alla parola letteraria ma anche, se vogliamo, a quella speciale lente che aveva per leggere la realtà. Ci puoi raccontare come visse la gestazione del libro? In che modo Pinocchio cominciò a parlargli?
Faceva parte del suo Dna. Il più pinocchiesco fra gli scrittori del Novecento non poteva non amare, anzi adorare, lo stralunato burattino nato dalla fantasia di Collodi. Il “Pinocchio parallelo” e la conseguente “Intervista a Mangiafoco” altro non sono che l’ultimo atto di un amore nato molti anni prima, quando mio padre, seduto a terra, in calzoncini corti, sfogliava con avidità la pagine di quel libro fantastico per poi sciogliersi in lacrime disperate alla morte del burattino “maraviglioso”, che veniva sacrificato per dar vita all’inutile e banale “bravo ragazzo”, senza storia e senza nulla da raccontare.
Presentò una prima parte del lavoro all’editore, non piacque. Gli dissero che lasciasse pur perdere, non era quello che volevano, per la strenna natalizia avrebbero pensato a qualcosa d’altro. Ma ormai Pinocchio pretendeva di essere scritto. I tre Pinocchi che, in scala, soggiornavano nel suo studio, lo incalzavano con timidi occhi di legno. Mio padre continuò, e, quasi per caso trovò un editore interessato. Einaudi se ne innamorò, rilevò il contratto da Mondadori e il libro vide finalmente la luce.
Fu accolto con entusiasmo da pubblico e critica.
Nel centenario della nascita di Pinocchio qualcuno, chi non è dato sapere, pensò ad un’intervista ad uno dei personaggi del “Pinocchio”, lo stesso qualcuno pensò a mio padre, che, affetto da una timidezza patologica e vigliacco in modo eroico, fu travolto dal panico. Tentò varie scuse, dal “non sono capace”, proprio lui che aveva intervistato i personaggi più inconsueti, al più onesto, anche se più banale “ho paura”. Monicelli lo convinse con una semplicissima frase: “Vedrà, professore, ne vale la pena”. Si mise al lavoro. Anche se all’inizio finge di essere in dubbio, di non sapere chi scegliere, mio padre sa benissimo che finirà per intervistare l’unico personaggio a lui congeniale, Mangiafoco. Pinocchio non si può, è un mito e non si intervistano i miti. La bambina, fata, strega, maga è troppo “madre” perché osi avvicinarsi. Rimane l’orco, l’orco fallito, l’orco che piange e si commuove, il disonore di tutti gli orchi del mondo, il più simile a lui. Ma soprattutto rimane colui che non l’ha mangiato da piccolo, che gli ha permesso di crescere, di diventare… cosa? Forse è proprio questo il motivo che rende così simili mio padre e Mangiafoco: il primo “dovrebbe essere un uomo”, il secondo “dovrebbe essere un orco”.