Giorgio Mannacio-Poeta primate e Poeta sapiens (intromissione tra Poeta e Samizdat)

Da Ennioabate
Ospito volentieri queste considerazioni di Giorgio Mannacio, che prendono spunto autonomamente dal dialoghetto n.2 tra Samizdat e Il Poeta esodante (qui). Preciso soltanto che ‘samizdat’ è, sì, termine russo che vuol dire ‘fatto in proprio’ e ‘autoedito’, ma Samizdat è per me soprattutto figura del dissenziente marcatamente politico (come lo erano gli  autori dei fogli  clandestini ai tempi dell’Urss) e che tale istanza poltica cerca di far valere rispetto a quella più estetico-interiore del Poeta esodante. [E.A.]

Per molte ore sono stato indeciso se inserirmi nel dialogo “di sapore antico“ tra Poeta esodante e Samizdat (che, se non sbaglio significa: edito in proprio). Mi sono deciso a farlo rilevando che qualche idea in proposito l’avevo già espressa in due miei precedenti interventi mandati ad Ennio Abate (poeta o samizdat ?) dal titolo «Poesia e polis» e «Poesia come oggetto». Non mi è sembrato che ad essi sia stato dato un riscontro diretto. Penso che in quegli scritti non ebbi a dare riferimenti sufficientemente espliciti ad alcuni passaggi del mio pensiero e, dunque, il rilievo di oggi non ha intenti polemici. Ne chiarisco alcuni tratti essenziali.

1.
Non leggo, nel dialogo, una distinzione, che ritengo fondamentale,tra poesia come “ fenomeno antropologico “ e poesia come “ fenomeno socio-culturale”. Anticipando una giusta obbiezione circa la sovrapposizione tra i due campi e sulle reciproche influenze, dico subito che allorquando si discute sul piano teorico occorre accettare la distinzione assoluta dei due concetti.

2.
La poesia come fenomeno antropologico è una comunicazione orale o scritta che si raggiunge attraverso l’uso di parole organizzate in un certo modo. La differenza tra essa e le altre forme di comunicazione attraverso la parola consiste – secondo la mia opinione – nell’assenza di una finalità di scambio. Se usiamo , per la comunicazione necessaria agli scambi, il termine
“ linguaggio “, possiamo approssimativamente dire che la poesia è un “ linguaggio altro“.
E’ certo – osservando la realtà (il quadro dei fatti realmente esistenti in un dato periodo: tale osservazione non dovrebbe mai mancare) – che la poesia come fenomeno antropologico occupa un significativo spazio nell’attività dell’uomo contemporaneo. Non sembra affatto che essa sia destinata a morire in tempi brevi. La poesia esiste, e come! Pertanto io leggo gli alti lai sullo “ lo stato della poesia “ come qualcosa che ha un oggetto diverso, diversità che deve essere chiarita.

3.
Dal mio punto di vista e raggiunta la conclusione or ora indicata, io penso che l’oggetto da precisare appartenga al campo della “poesia come fenomeno socio-culturale “. Quando si parla, ad esempio, di poesia ermetica, della “ parola innamorata”, della poesie civile, della poesia politica e chi più ne ha più ne metta, si è già dentro una ricerca diversa che prende in considerazione o i contenuti del fenomeno antropologico, o le sue modalità di struttura o i suoi fini. In queste ed altre possibili distinzioni non v’è nulla di sospetto, a patto, però, che esse vengano analizzate nel contesto che ne rappresenta le condizioni che le rendono possibili. Si comincia – qui – a vedere quella sovrapposizione/ incrocio tra dato antropologico e dato socio-culturale che avevo, per necessità di discorso, temporaneamente accantonato.

4.
Quale è, allora, il problema? Io penso che per affrontare tale nodo occorra in primo luogo una estrema onestà. Il problema non esisterebbe se il poeta fosse del tutto disinteressato alla dimensione sociale della sua poesia e non anelasse affatto ad essere annoverato come “ uomo socialmente culturale “. Questo poeta potrebbe ignorare del tutto l’esistenza stessa di una struttura denominata “ società letteraria “ o essere del tutto disinteressato ai giudizi e alle prassi di essa. Costui continuerebbe a scrivere imperturbabile e, al massimo, per le più strane e svariate ragioni, coltivare l’idea di una “poesia samizdat”. Va detto a conclusione dell’illustrazione di questo bel tipo che egli potrebbe nel contempo essere un uomo di altissime qualità etiche e civili. Se rinunciasse anche alla “ poesia samizdat” lo chiamerei Poeta primate.

5
Il problema, dunque, è solo di quelli che – poeti nel senso già precisato – avvertono l’esistenza di una “dimensione socio-culturale “ del fenomeno poesia; e intendano, in qualche modo, di farne parte. Chiamerei questo tipo Poeta sapiens.
Per essere precisi occorre fare alcune distinzioni tra “farne parte“ e “essere riconosciuti come appartenenti “, ma tali distinzioni sono irrilevanti ai fini del nostro dialogo.
Vanno approfonditi,invece, due punti.
Il primo è che ogni dimensione del corpo sociale(ogni concentrazione di interessi dotati di rilevanza) si dà una propria struttura, più o meno consistente. Organizza le proprie funzioni materializzandole in attività stabili, significative della propria identità, servendosi a tale scopo anche di mezzi materiali specificamente destinati ad essa ovvero normalmente destinate ad altri scopi, ma utilizzabili con qualche successo .Con l’avvertimento che ogni momento storico-sociale ha proprie modalità di organizzazione.
Il secondo è che la pretesa di far parte di una certa dimensione sociale non è “azionabile davanti ad alcun tribunale“, ma dipende dalla convergenza di due forze e precisamente da una parte dalla intensità dell’interesse e dalla capacità del Primate di inserirsi in detta dimensione e, dall’altra parte, dalla permeabilità della dimensione culturale organizzata a detta pretesa. Perché – sia detto con estrema chiarezza – non v’è alcuna dimensione sociale (la sua organizzazione ; vd supra ) che si presenti assolutamente permeabile ed è una illusione pensare che la democrazia abbia attribuito a tali organizzazioni una maggiore permeabilità.

6.
In un certo senso la situazione del Primate si presenta più complessa che in passato. Non si tratta di auspicare un ritorno a modelli di società culturali del tempo che fu (ritorno impossibile e non auspicabile quasi che si dovesse tornare alla schiavitù per consentire a qualche filosofo di scrivere indisturbato i propri trattati o a costruire nuove Piramidi), ma di
“ leggere“ con attenzione estrema i dati fornitici dalla realtà.
Il primo dato mi sembra questo. Il principio di eguaglianza e il voto universale hanno attribuito al singolo un potere “ totale “. Non è la maggioranza dei voti a legittimare tale potere ma il fatto che il mio voto è equivalente a quello di un altro. Se sul piano delle istituzioni politiche il meccanismo di costruzione del consenso esige un conteggio, dal punto di vista sociale ciascun individuo è legittimato a sentirsi come “l’intero corpo sociale“. Tale conclusione comporta la frantumazione del significato dell’azione collettiva all’interno di una società di eguali. Sotto questo profilo la pretesa di una organizzazione sociale “spontanea “, quale può essere quella dei Sapientes,di essere “ l’unica legittima “ è inaccettabile. Ma è anche una pretesa smentita nei fatti in quanto la nostra società è “pluralistica “ nel senso che la pluralità dei poteri – non essendo concentrata – è “necessitata“. Non si deve confondere l’intensità del potere dall’esistenza di poteri variamente efficaci.
Se spostiamo lo sguardo al c.d mondo della poesia – cioè alla dimensione socio-culturale del fenomeno antropologico – ci accorgiamo che “non esiste un unico sistema culturale“ ma una pluralità di sistemi. La situazione è “favorita “ da un secondo dato.
Il secondo dato è il seguente. Il progresso tecnologico e il crescente benessere sociale hanno comportato : a) la scolarizzazione di massa; b) l’aumento e la diversificazione delle tecniche di comunicazione; c) l’estensione della cultura favorita dal crescente numero delle scuole del sapere.
L’affrancamento dall’analfabetismo e la “ relativa facilità “ della comunicazione poetica ( atta di parole di uso comune) ha comportato l’aumento a “dismisura“ della produzione poetica. La crescente acculturazione ha strappato l’egemonia dei pochi centri di sapere esistenti in passato favorendone la moltiplicazione e dislocazione funzionale e territoriale.
La diversificazione delle tecniche comunicative ha reso ogni livello della società permeabile alla comunicazione.
L’effetto di questi fattori (ma sicuramente ne ho trascurati altri o non ho approfondito i dettagli) è stato “ dirompente “ sia nel senso di spezzare una egemonia sia nel senso di creare diverse egemonie tra loro concorrenti.
Questo è quanto ( per me ).

7.
Prevengo una obbiezione: ma la “cultura ufficiale “ esiste . Dal mio punto di vista si tratta di un equivoco concettuale e di un errore politico. Concettualmente l’ufficialità presuppone una autorità esterna costituita per definire un solo modello di organizzazione sociale. Politicamente l’accettazione di una “ cultura ufficiale “ significa dismissione della propria individualità/totalità.
Esclusa la presenza di una autorità costituente e ammessa la pluralità delle totalità, il problema si risolve nel prendere atto di “ diverse culture e diverse organizzazioni di esse “.
Qualcuno può dire – alla luce di questa conclusione abbastanza provocatoria che “in passato le cose andavano meglio “. E’ vero, ma solo nel senso che in passato esistevano condizioni quasi oggettive in base alle quali determinare tale carattere. Mi spiego in sintesi, ma spero chiaramente. La scarsità dei poeti, la relativa “ aura “ di superiorità connessa con la limitata estensione delle culture e quindi della ridotta platea dei “ potenti a… “ non poteva che portare all’individuazione in questi pochi di una legittimità a porre suggelli e a pronunciare giudizi. Questo non è più possibile oggi (la “ distruzione del canone “ è una conseguenza non la
causa). E’ chiaro – si tratta di un tema collaterale ancorché connesso – che alla base di tutto questo sta una sorta di “pregiudizio positivo “ sull’opera del poeta, una volta mago, poi facitore di meraviglie e poi….. ( argomento da approfondire e che sintetizzo così : distrutto ogni collegamento magico o similare il potere della poesia-cultura si autoalimenta… )

8.
Al Primate “ che voglia diventare Sapiens “ si apre quindi – secondo la mia ricostruzione – uno scenario di lotta per la conquista di spazi letterari. Nessun potere accetta estranei fino a quando costoro (per ragioni da approfondire: altro argomento “ collaterale “ )
non dimostrino al potere stesso di “meritare“ tale ingresso. Dico subito che quando dico
“meritare“ non intendo riferirmi a criteri di valutazione oggettivi, stabilizzati e dotati per così dire di una certa razionalità, ma a criteri che lo stesso potere determina. La conoscenza di tali criteri da parte del Primate è uno degli strumenti più importanti per l’accesso nell’organizzazione che gli permetterà di diventare Sapiens.

9.
A questo punto vorrei fare un passo indietro. Avrei forse dovuto dire prima come Primate può “contestare “ il quadro (realistico, pessimistico: non so ) che ho delineato.
Egli può esercitare contro tale contesto una sorta di “ironia totale “ consistente nell’assoluta indifferenza verso il fenomeno culturale (credo che vi possa essere indifferenza senza disprezzo). Ogni problema è risolto e ogni dialogo in argomento del tutto inutile.
Il Primate resta tale.
Egli – altra opzione – può esercitare una “ironia relativa“ i cui contenuti sono più complessi ed articolati.
Tale atteggiamento consiste nella presa di coscienza della pluralità delle culture, nel non riconoscere una “ cultura ufficiale “ ancorché “esistente come dato di fatto di un certo contesto sociale“ e, infine, nell’adoperarsi, se lo ritiene essenziale, per la costruzione intorno a sé di altro nucleo nel quale riconoscersi e al quale attribuire la qualifica di altra cultura ufficiale.
Che l’ ”ironia relativa“ sia un traguardo possibile e “legittimo“ – e ciò può essere fonte di una certa speranza – risulta da alcuni dati che mi sembrano indiscutibili.
1 ) La obsolescenza dei canoni di valutazione tradizionali – riconosciuta da tutti – consente a tutti la posizione di altri canoni.
2 ) Nessuno può dominare il panorama della produzione poetica contemporanea (anche Uno dei due dialoganti finisce per riconoscerlo) e dunque certe esclusioni sono dovute semplicemente ad “ignoranza“ .
3 ) L’osservazione fattuale delle aggregazioni culturali mostra un alto grado di casualità e/o di arbitrio (dunque l’arbitrio tuo è eguale al mio).
4 ) Le condizioni tecniche ed economiche attuali consentono a (quasi) tutti la predisposizione di testi e la loro diffusione.
In una terza posizione si pone il Poeta sapiens sapiens che ammette la presenza di una (sola ) cultura ufficiale e vi vuole entrare. Il quale però è forse insipiens circa l’esistenza delle condizioni di ingresso.

10.
Nessuna delle tre posizioni che ho costruito è esente da “dolori e tribolazioni“ e di nessuno di questi dolori e di nessuna di queste tribolazione è lecito scherzare. Ma non è lecito scherzare neppure su mali ben più terribili. E dunque la moderazione ci salvi dal suicidio per amore, anche se l’amore esiste. Si può forse dire che il cammino del Primate verso il Sapiens , e dunque l’esperienza poetica, si iscrive più nell’etica che nell’estetica. Qualcuno l’ha già detto.

novembre 2013.


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