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Giorgio MannacioLa poesia alla prova del fuoco. (Tentativo di interpretazione di un aforisma di Nietzsche )

Da Ennioabate

mannacio 3I.
E’ certo – quantomeno altamente probabile – che questo nostro mondo finirà. Soltanto, non sappiamo quando e in che modo. Come si pone la Poesia di fronte a tale evento? Facciamo un passo indietro chiedendoci – ma l’interrogativo segnala solo una curiosità tutto sommato inutile – se finirà per “ morte termica “ ovvero perché sommerso da un nuovo e definitivo diluvio ovvero carbonizzato a seguito di un gigantesco incendio ( la c.d. ekpurosis ). Se verso la prima soluzione ci spinge il secondo principio della termodinamica, le altre due sono attestate egualmente dalla tradizione. Della fine a causa del fuoco parla, ad esempio, il Dies irae ( “ Solvet saeculum in favilla…” ). Quest’ultima – a quanto riferisce Seneca ( Questioni naturali III,29,I ) –era anche l’opinione di un certo Berroso,astrologo babilonese.

2.
Se ci interessiamo delle fiamme e del loro potere distruttivo è perché – riferendosi al nostro argomento, la Poesia – di esse parla ” un nostro contemporaneo”, il filosofo Federico Nietzsche
nell’Aforisma n. 518 di Aurora, aforisma intitolato Poeta e uccello. Non mi sembra che esso sia stato oggetto di particolare attenzione. Eppure si tratta – a mio giudizio – di una straordinaria meditazione. Abbandonata – per un attimo – la tracotanza che spesso caratterizza i suoi scritti e raggiunta una esemplare lucidità, Nietzsche ci consegna con questo aforisma una riflessione profonda e di notevole complessità.
Ecco il testo.
La fenice mostrò al poeta un rotolo rovente e prossimo a carbonizzarsi. ” Non spaventarti – disse – è la tua opera. Non ha lo spirito del tempo e ancora meno lo spirito di quelli che sono contro il tempo: per conseguenza deve essere bruciata. Ma questo è un buon segno. Ci sono molte specie di aurore “.

3.
L’aforisma de re nostra agitur. Il palinsesto contiene un testo poetico ( “…poeta è la tua opera …” ) ; v’è la previsione, del tutto probabile, della sua fine (“….per conseguenza deve essere bruciata….” ); e,infine, una regola di comportamento ( “…ma non devi spaventarti…” ). Tale esortazione sembra – a prima vista – estranea alla materia estetica, ma sarebbe, questa, la prima incoerenza riscontrabile in esso. Ogni parola, ogni situazione del testo sono collocate al punto giusto in una trasparente corrispondenza. Il volatile che parla è la Fenice, quell’uccello favoloso cui accenna Erodoto ( Storie,II,73 ), capace di rinascere dalle proprie ceneri dopo quel fuoco da lui stesso annunciato e che non può non essere un fuoco sempiterno se – come è detto – ” vi sono molte specie di aurore “. Del resto il titolo dell’opera – Aurora – reca due notazioni che ritengo estremamente interessanti. Il libro si apre con una citazione tratta dal Rigveda ( ” Ci sono tante aurore che debbono ancora risplendere” ), citazione che anticipa – più esplicitamente dell’aforisma – la rinascita dopo l’incendio. Ma, ancora più significativamente, si deve rilevare che Aurora reca questo sottotitolo ” Pensieri sui pregiudizi morali “.
Si può presumibilmente pensare – se partiamo dall’ipotesi della coerenza del testo – che la Fenice ponga ” un problema morale “.

4.
E’ del tutto chiaro che la Fenice si rivolge al poeta. Ciò risulta dalla lettera del testo e dall’oggetto del suo discorso.
Meno chiara è – invece – la qualità soggettiva del miracoloso volatile. Profeta o giudice? E’ questo uno dei tanti problemi interpretativi che il testo presenta ai lettori . Non certo il più difficile. Io penso che la Fenice sia giudice e non profeta. Il testo dell’aforisma infatti utilizza l’espressione ” deve essere bruciato”che attiene ad un atto di volontà e non di previsione. Atto di volontà connesso con una valutazione negativa chiaramente espressa nel testo con riferimento alla mancanza nell’opera poetica di alcune qualità.
La Fenice, del resto, quale creatura che rinasce dalle proprie ceneri, non appartiene all’ordine del tempo ma all’eternità, dimensione che non tollera profezie che sono anticipazioni del futuro. Correlativamente ogni giudizio, anche umano, è ” conclusivo”.
Mi sembra fragile, contro tale conclusione, rilevare la possibilità, prevista dall’aforisma, di altre aurore. A parte l’indeterminatezza dell’aggettivo ” molte ” che caratterizzerebbe  queste ipotetiche ricomparse ( e quindi questi ipotetici spezzoni del tempo storico ), non v’è traccia  di una limitazione della possibile resurrezione del mitico uccello.

5.
Da questo punto in poi e man mano che ci inoltriamo nella ” selva oscura ” del testo le difficoltà interpretative si infittiscono. Ma, procedendo con pazienza e circospezione, si riesce a trovare una accettabile via di uscita.
Osservo subito che oggetto del giudizio e della condanna è l’opera poetica ” che non ha lo spirito del tempo “. La successiva notazione ( ” e ancora meno lo spirito di quelli che sono contro il tempo ” ) individua una diversa possibile tipologia di opera poetica attraverso la specificazione di una diversa qualità del testo preso in esame, giudicato e condannato. Esso, in sostanza viene esaminato anche sotto un ulteriore e diverso aspetto.

6.
Due sono espressamente individuati. Uno è quello delle opere che non hanno lo spirito del tempo; l’altro è quello di coloro che sono contro lo spirito del tempo. Se proseguiamo su tale strada e manteniamo ferma l’ipotesi (plausibile ) che la Fenice contempli tale distinzione, rileviamo come essa sia posta in considerazione del tempo, ci accorgiamo che la Fenice non nomina l’opera che ha lo spirito del tempo. Si deve capire, a questo punto, a cosa si riferisca la Fenice quando parla rispettivamente di opere che non hanno lo spirito del tempo e di opere di coloro che sono contro lo spirito del tempo. Anche su questo punto si erge un enigma ma una cosa è certa: non avere lo spirito del tempo non equivale ad essere contro il tempo.

7.
E’ curioso,ma non poi tanto, che la Fenice, la cui appartenenza all’eterno mi sembra certa, si metta a parlare di un argomento estraneo alla propria natura e cioè del tempo. La contraddizione è solo apparente se si considera che essa sta parlando ad un uomo che ha la qualità di essere poeta e che vive, necessariamente, nella temporalità ( tanto l’autore che la sua opera si costituiscono di fronte al tempo ). La Fenice dunque non può parlare se non utilizzando categorie proprie dell’ascoltatore.
Tale ambiguità – del resto – rispecchia la posizione di Nietzsche il quale – come osserva con precisione Loewith ( Da Hegel a Nietzsche- La frattura rivoluzionaria nel pensiero del XIX
secolo,dee. it.,1948,267 ) – è allo stesso tempo filosofo del nostro tempo e dell’eternità. Si può
essere inattuali (come N. predica di sé stesso )solo vivendo integralmente la crisi del proprio tempo e contestandone i fondamenti.

8.
Fissata in tali termini essenziali la fisionomia dell’autore dell’aforisma e riguardate le articolazioni letterali di esso, ritorna attuale la distinzione tra l’opera che non ha lo spirito del tempo e l’opera che non ha lo spirito di quelli che sono contro il tempo. Sia nella struttura formale che nell’utilizzo delle parole la due situazioni sono tenute ben distinti e dunque ad esse vanno attribuiti significati diversi. La prima segnala solo l’assenza di un certo elemento (lo spirito del tempo ), la seconda una vera e propria opposizione attiva ( contro lo spirito del tempo ).
Alla luce di quelle fiamme che distruggeranno ( anzi distruggono perché – l’ho detto – la Fenice non è un profeta ma un giudice ) si presentano le due figure leopardiane della Moda e della Morte, richiamo ineludibile che fa pensare ad una di quelle corrispondenze ( tanto simili all’imitazione e tanto diverse da essa ) che sono i sintomi di un comune sentire tra grandi protagonisti del pensiero critico.
Nel passo nicciano non v’è dialogo ma semplicemente la presa d’atto da parte della Fenice di una ” qualità ” dell’opera e la conseguente condanna. Sono bruciati così – e non solo in senso metaforico – i tempi parzialmente consolatori che i discorsi tra Moda e Morte possono ancora concederci.
Dunque l’opera poetica che non ha lo spirito del tempo è morta. La condanna della Fenice è coerente e, nello stesso tempo, ironica. Se qualcosa ( il testo, nel nostro caso ) non ha lo spirito del tempo ( non è servo della Moda ) non può vivere. L’ironia ( o l’autoironia ) si coglie riflettendo sul destino – taciuto – sull’opera che è serva della Moda. Essa deve fare i conti comunque con la Morte. In assenza di altri elementi non si può dire nulla sul senso di tale conclusione che – però – sembra oggettivamente ineludibile. Se sono colpite dalla morte per ignem le opere che non hanno lo spirito del tempo ( e dunque dovrebbero sopravvivere al tempo cui non appartengono ), l’argomento a fortiori ci porta a dire che tanto meno possono sopravvivere quelle che hanno solo lo spirito del tempo.
Panorama desolato? Sì e no, perché curiosamente e ancora una volta ironicamente la distruzione è definita dal volatile-giudice come un ” buon segno ” e il poeta ” non deve spaventarsi” in quanto – questa è la chiusa – vi sono varie specie di aurore.
Sembra dunque che l’opera combusta possa risorgere in ” altro tempo” anche se è difficile immaginare quale tempo possa essere proprio di un’opera che è contro il tempo.

9.
L’aporia di tale conclusiva meditazione svela – a mio giudizio – il ” problema morale ” dell’esperienza poetica. Se l’opera di moda ha la durata transeunte della Moda; se l’opera contro la moda è già ab origine condannata e resta sullo sfondo solo la prospettiva di salvezza per quelle che sono contro il tempo – a patto che si abbia fede nelle nuove aurore e non ci si spaventi – resterebbe solo una sorta di ” dedizione assoluta “nel senso che non si deve aspettare alcun riconoscimento. Sembra di scorgere – limitata ad un aspetto dell’esperienza umana – una sorta di ” giustificazione per sola grazia “.

Milano, fine 2013-febbraio 2014.


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