Una mano febbrile ha cancellato
con calce spenta l’interrogativo
Ma sempre splende sulla città sbilenca
e i fantasmi violetti di un corteo
enorme e piatto il sole dell’avvenire.
Dietro sferraglia un treno di breve viaggio
tra rottami e papaveri,
tra sonnolenza e sogni.
Chi semina nel vento
raccoglierà fiori un giorno
sul sangue, sulla ruggine?
LA MORTE IN SICILIA
L’assordante silenzio minerale
degli scheletri rivestiti
per il mercato, il ballo, il tribunale
(tutti figli del tempo e della moda,
la vanagloria
di un portiere d’albergo
che si fa usbergo
di chiavi d’oro ed ospiti d’argilla)
solvet saeculum in favilla.
Siamo chiamati insieme
all’ultimo avvenimento
che dopo il vino, i canti ed una accecante luce
all’ironia di un fossile conduce.
L’ULTIMO DEI GIUSTI
I
L’ultimo trono vuoto in paradiso
è destinato a lui, l’ultimo giusto.
Poi finisce la storia risucchiata
nell’abisso che allora
chiamavano eternità.
Lui completò la strage: nessuno fu risparmiato
e nessuno ricorderà.
II
Vestivano di lino
i prìncipi innocenti
nei lunghi, quasi infiniti, giorni d’estate
E le correnti pigre, impaludate
stagnavano colori di malattia;
sfibravano il fiore azzurro
quelle donne cantando quasi con allegria.
III
Sembrava, ma non era
la luna a galleggiare tra gli alberi del giardino.
Fermarono così la breve attesa
di quella luminosa mongolfiera
nello stupore di una mano tesa.
Ci fu un comando, non una profezia
e nessuna pietà dopo la resa.
IV
Dove andrete, bambini, quando
si torceranno ardendo
i rami cui appendeste l’altalena ?
Niente deve restare ed anche voi nel fuoco
sarete ridotti a cenere.
Se l’anima è una fiamma
anch’essa si spegnerà tra qualche istante.
V
E’ legge che sia distrutto
anche il seme e così sepolta
la radice d’ogni memoria.
Se nessuno ricorda, niente è la storia
oltre la mongolfiera e sotto la luna piena.
Più in alto ancora, nell’indifferenza,
l’ultimo dei giusti ostenta la sua innocenza.
ARCHEOLOGIE PER IL FUTURO
Combattute le sue battaglie,
una truppa stracciona
a brandelli di sonno si abbandona
dove che sia piantata una bandiera.
Sotto la statua dell’imperatore,
contro un cartello di pubblicità.
Con sospetto e con ira
la sveglia e la sorveglia la città.
Il nemico l’ha vinto
servendolo, stesi a terra
i panni del provvisoria disonore.
Cova sornione il tempo
le uova del serpente, un po’ più in là.
Intorno gli scalcinati
archi, templi, colonne e mura
fingono indifferenti che nulla succederà.