giornalismo 2.0, tablet a scuola e MOOCs: più domande che risposte

Creato il 01 maggio 2013 da Mediadigger @mediadigger

Tre sono i poli d’attrazione principali della discussione in Rete in questo periodo: il giornalismo e la comunicazione ai tempi del web, i tablet a scuola e i cosiddetti MOOCs (Massive Open Online Courses).

Il primo argomento è stato ampiamente affrontato in due eventi, il cosiddetto #innovationRCS, workshop sul giornalismo digitale alla sede del Corriere, e soprattutto la scorsa settimana al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, dove sono emersi, per quel poco che ho potuto seguire, molti spunti davvero interessanti. Non avrei niente da aggiungere di nuovo se non segnalare questo articolo uscito qualche settimana fa ma su cui vale sempre la pena riflettere e che si conclude con una frase eloquente: per il giornalismo la sfida NON è il digitale, la sfida è la convergenza.

Anche l’argomento dei tablet a scuola ha visto un evento dedicato, il meeting Tablet School organizzato a Bergamo dal centro studi Impara digitale, centro fortemente voluto e realizzato da Dianora Bardi. Il dibattito rimane vivo nonostante credo che sul tema si sia ormai detto tutto o quasi e personalmente non ho altro da aggiungere a quanto scritto a riguardo nel passato più o meno recente. Del resto la situazione è ben nota e ben esposta in questi articoli che fornisco di seguito: il primo si intitola La lunga marcia della scuola digitale e mi sembra eloquente senza commentarlo ulteriormente. Da leggere perché fa un quadro preciso e lucido sulla situazione, tra velleità - e necessità – di innovazione didattica e le solite carenze strutturali ed economiche.
Il secondo, Tablet school, i fatti e i “da fare”  è la cronaca del meeting di Bergamo da parte di uno studente che vi ha partecipato in prima persona, condito da alcune considerazioni interessanti perché, una volta tanto, a parlare non sono i soliti docenti pro o contro il digitale, ma la materia prima della scuola, ovvero gli studenti stessi.
C’è poi questo approfondito articolo su tropicodelibro.it in cui si parla del decreto Profumo e si interpella Marco De Rossi, fondatore di Oilproject, il quale analizza la situazione anche alla luce della giornata di Bergamo e fa una prima valutazione di quanto finora hanno fatto gli editori, che comunque non è poco, tenendo anche conto, come ben dice Rossi, che il loro sforzo “non corrisponde al reale mercato della scuola italiana che ancora preferisce il cartaceo”.
Inoltre segnalo questo articolo della Stampa molto ben scritto e dove si interpella anche  Dianora Bardi, facendo il punto su molti aspetti del digitale nella didattica tutti da approfondire; c’è infine un’intervista a Dianora Bardi, molto rapida quanto efficace, dove la stessa professoressa pioniera del digitale in classe non nasconde le immancabili (e immaginibili) resistenze interne e soprattutto le criticità presenti anche nell’uso del digitale a scuola. Alla fine non fa nascere illusioni facili e afferma che “per una rivoluzione digitale servono tempi lunghi.”  A me questa frase suona ovviamente ragionevole, ma mi chiedo spesso anche se i tempi lunghi della scuola non siano inesorabilmente troppo lenti rispetto alla rapidità della tecnologia, che spesso spariglia le carte e rimette tutto in gioco nel giro di pochi anni, se non mesi.

Infine, i MOOCs, questi famigerati corsi che nel giro di pochi mesi sono arrivati ad attirare centinaia di migliaia di studenti in tutto il mondo e di cui si fa un gran parlare. Qualche mese fa avevo spiegato (qui il post relativo) di che cosa si tratta, e ora sembrano approdare anche in Italia. La questione è: funzionano veramente? Sono davvero il futuro dell’educazione a distanza di quel longlife learning ormai necessario per stare al passo con esigenze professionali sempre nuove? Come sempre accade in questi casi, i pareri sono discordi, anche se fino a qualche tempo fa c’era una netta prevalenza di voci positive. Da qualche tempo, però, si iniziano a sentire (leggere) anche opinioni meno lusinghiere su questi mega-corsi online: recentemente se ne è occupato anche il New York Times con un articolo dettagliato, scritto da chi di MOOC ne ha seguiti ben 11- e conclusi solo 2, dal momento che una delle caratteristiche di questi corsi è l’altissimo tasso di dispersione; il mio cattivo pensiero è che su uno che parla bene dei MOOCs ce ne sono non so quanti che preferiscono non esprimersi, magari sentendosi a disagio nell’esporre una inadeguatezza che sentono più loro che del corso in sé. Ma è necessariamente così? L’articolo succitato sembra negarlo, e stila una vera e propria pagella con tanto di voti, evidenziando gli aspetti positivi e quelli negativi dei corsi da lui frequentati. Risulta che tra le carenze ci sia quella della comunicazione tra studente e docente e tra studenti stessi, dato l’altissimo numero di partecipanti, la dispersione suddetta e la mancanza di strumenti adeguati per una comunicazione sincrona. Altro importante aspetto che avevo notato anch’io nella mia breve frequentazione di un MOOC (presto abbandonato, appunto) è il carattere sostanzialmente monodirezionale del metodo didattico: il docente (che tra l’altro si trova in una sovraesposizione quasi da divo e dovrebbe in teoria gestire una “classe” di decine di migliaia di studenti) eroga materiale didattico (testi e, soprattutto, video) ma poi non ne segue una vera condivisione né, tantomento, co-creazione degli studenti.
Fa il paio con l’articolo del NYT questo dal titolo The World is not Flat in cui si pone anche la questione della personalizzazione dei percorsi didattici.
E se questi tre (condivisione, co-creazione, individualizzazione) sono invece gli aspetti che caratterizzano la didattica 2.0 o come volete chiamarla, c’è da chiedersi dove sia l’aspetto innovativo di tali corsi.

Voi che ne pensate?

(Ho preso l’immagine da qui.)


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