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Giornalismo online: causa Santoro in vacanza sul mega-yacht, tutto sullo Speciale del TG5 – Ruby, ultimo atto. Io l’ho visto. O quasi.

Creato il 13 maggio 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

475px-Relation_Aller_Fuernemmen_und_gedenckwuerdigen_Historien_(1609)di Rina Brundu. Dopo lo scoop di Chi che ha mostrato un Michele Santoro, abbronzato e satollo, mentre sprezzante del pericolo lottava per il popolo e con il popolo sul mega-yacht di Della Valle, non era pensabile che questa settimana si potesse pubblicare il solito pezzo analitico dell’ultima puntata del suo Servizio Pubblico. D’altro canto, dopo avere sentito Vito Crimi che raccontava di come il suo stipendio, dopo l’exploit-politico, sia passato dai 20000 euro annuali ai 20000 euro mensili, non era neppure pensabile che l’argomento di questo articolo potesse essere suggerito dall’annunziatico programma In mezz’ora, dove lo stesso capogruppo del MoVimento 5 Stelle è stato intervistato nella giornata di ieri.

Non sto mettendo le mani avanti, ma certo lo status-quo fin qui descritto molto ha potuto sulla mia decisione di guardare, ieri sera, lo speciale del TG5 La guerra dei vent’anni – Ruby, ultimo atto, condotto da Andrea Pamparana, l’indignato speciale di quella redazione giornalistica. In altre parole, io sono uno dei 1.425.000 telespettatori (5,8%) che lo hanno visto. O quasi. Dico quasi perché ho resistito un’oretta, poi ho pensato che la pena comminatami non era commisurata ai peccati commessi in giornata, e neppure a quelli commessi da quando tanto tempo fa ho cominciato ad interessarmi di giornalismo. E di giornalismo online in particolare. Intendiamoci, non è un merito, perché è noto che se i santi hanno un passato solo i peccatori hanno un vero futuro, ma iersera mi sarei aggrappata a qualunque cavillo pur di sfuggire la suddetta penitenza.

Ovvero, pur di sfuggire un programma giornalistico che di giornalistico a mio avviso aveva ben poco, se non un certo dispiego di mezzi e di uomini e forse tanta buona volontà. Magari un onesto desiderio di fare bene, di essere politically-correct rispetto alle norme fondanti la deontologia giornalistica. Il problema è che il giornalismo, quello valido, quello buono, non può mai essere troppo politically-correct, ovvero non è  un incontro a metà strada tra le sentite ragioni di Tizio e  le giuste rivendicazioni di Caio, ma per essere davvero valido, davvero buono, necessità sempre di spostare il baricentro un po’ di qua o un po’ di là, creando frizione, attrito, dissidio, disaccordo, dissenso, finanche discordia e indignazione. Creando il caso, insomma. E creandolo in maniera eticamente valida rispetto al tema considerato. Ancora, nelle parole di H. Beuve-Méry “Il giornalismo esiste solo nella misura in cui significa antipotere“.

Questo per dire che il programma visto ieri su Canale 5 somigliava più ad un documentario d’intrattenimento (se Pamparana, invece di fare il verso ad una improbabile Gabanelli, avesse camminato nello studio, lo si sarebbe potuto facilmente scambiare per uno degli Angela, padre e/o figlio!), anche interessante a momenti, soprattutto quando apriva le porte dei “luoghi” che hanno creato un caso giudiziario molto discusso, ma da un punto di vista giornalistico inutile dire che ha lasciato lo spettatore con l’amaro in bocca. Se non indignato, un poco sconcertato. Pardon, specialmente sconcertato.

Featured image, La Relation aller Fürnemmen di Johann Carolus (1609): il primo giornale stampato della storia.

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