Giornata tipo – Paola Dalmasso

Da Philomela997 @Philomela997

Progetto Epistole politiche - Giornata tipo

Scheda pg (Paola Dalmasso – Il commerciale)

Paola Dalmasso – 31 ottobre 2071

Con una corporatura come la sua doveva andare in palestra almeno un paio di volte a settimana. Passata l’adolescenza era riuscita ad accettare il fatto di essere alta quanto un uomo e quasi altrettanto forte, ma non avrebbe sopportato di essere anche grassa. Quindi pedalava ferocemente, cercando di alienarsi dall’ambiente circostante. La palestra non le piaceva, per quanto l’avesse scelta tra le più care di Torino. Fissava lo schermo di fronte a lei e cercava di perdersi nelle immagini boschive del canale Natura, ma i continui pop-up pubblicitari la irritavano. Una delle sue preoccupazioni, in quel periodo, era di riuscire a fare in modo che la sua piccola azienda riuscisse a emergere nell’infestazione di materiale pubblicitario che veniva somministrato alla gente. Un’impresa ardua. Stava mentalmente iniziando a ricapitolare i punti focali della sua strategia di marketing, improntata al virale e al guerrilla, quando la ciclette iniziò a rallentare entrando in defaticamento.

Era ora degli addominali. Agguantò l’asciugamano e si avvicinò alle spalliere, gettando un’occhiata all’orologio. Le sette e mezza.

Quella mattina si era alzata presto. Nonostante il cambio di orario era ancora buio. Aveva preso un caffè nero, non aveva fatto la doccia ma si era concessa un paio di pancakes con una marmellata dietetica che li aveva rovinati. Poi aveva infilato tuta e scarpe da ginnastica ed era uscita. Faceva un freddo cane e si strinse nel cappotto, camminando si era riscaldata. Abitava in centro e le strade erano pulite, ma i megaschermi di Gucci e Mc Donald’s deturpavano l’architettura sottostante. La palestra non era affollata, nello spogliatoio aveva trovato un gruppetto di ragazze che stavano tornando a casa dopo una sessione notturna di tone-up total body, di cui parlavano in toni entusiastici, ma questo era tutto. Nessuno andava in palestra nei prefestivi, ci andavano il giorno dopo per smaltire.

Terminò con diligenza il suo programma di mantenimento, fece la doccia e indossò con cura gli abiti di lavoro. Camicia bianca Calvin Klein, giacca e pantaloni neri Armani Jeans, scarpe bianche e nere decorate in punta. Produzione artigianale, pensò compiaciuta. Erano comodissime. Si pettinò i capelli e ispessì lo sguardo con eyeliner e mascara. Niente rossetto né fondotinta, non era capace di portarli.

Uscì in strada attivò l’innesto pc-brain posto alla base del cranio e inforcò la fascetta olovisore X5 della Apple, con una cover viola perlato. Era appena uscito e non aveva ancora preso del tutto dimestichezza con la nuova tecnologia fast-look, non era abituata alla rapidità con cui il cui il cursore seguiva il suo sguardo. Riuscì comunque ad accedere al suo account web e scaricare la posta. Oltre le icone, le finestre e la tastiera vedeva il marciapiede su cui stava camminando, come se fosse un desktop animato. Erano le otto e mezza e la gente andava al lavoro. Le facce però erano più sollevate del solito, perché l’indomani era festivo, ma soprattutto perché quella notte era Halloween e Torino prendeva vita. Era l’ultima festa prima del letargo invernale.

Entrò in ufficio alle 9 meno 3 minuti, come tutti i giorni. Accese la luce dall’interruttore manuale, un vezzo demodé. Sull’olovisore scorrevano ancora le email, niente di particolarmente urgente. Superò la stanza del giovane avvocato che divideva l’affitto con lei, mai presente prima delle 10, e schiacciò la serratura a rilevazione d’impronta digitale entrando nella sua area personale. Gettò la sacca da palestra in un angolo, tolse cappotto e olovisore e si sedette alla scrivania. Lo schermo piatto integrato alla parete si accese con lentezza, presto avrebbe dovuto riformattare tutto, una prospettiva agghiacciante che rimandò a data da destinarsi. Quando finalmente il sistema operativo divenne operativo, scoprì che Jamila Boano Lima aveva condiviso con lei un file pieno zeppo di formule e annotazioni che avrebbe dovuto illustrarle il funzionamento di una nuova soluzione per la compatibilità del cervello umano con un tipo sperimentale di sostanza che aveva delle potenziali applicazioni in un ambito impiantistico di qualche genere. Non ci capì assolutamente nulla e sbuffò esasperata.

Potresti spiegarmi cosa diavolo significa? Scrisse in rosso all’inizio del file. Il programma sincronizzò istantaneamente la modifica, ma Jamila non era online. Sicuramente dormiva dopo una notte di bagordi, pensò Paola facendo una smorfia.

Sbrigata la corrispondenza iniziò a consultare i siti d’informazione. Quelli dei quotidiani ma soprattutto i blog indipendenti. Cercava notizie di politica e di economia, ma seguiva anche blog letterari e filosofici, nonché i siti delle principali case di moda e delle aziende informatiche.

Anche lei aveva avuto un blog, Philomela997, che gestiva con Lily mcGregor e Febe Velleri. Si erano conosciute online, Lily era di Roma e Febe di Faenza, una cittadina vicino a Bologna. Sul blog scrivevano di letteratura e arte contemporanea, di società e filosofia. Paola sbuffò indignata ricordando la sensazione orrenda che aveva provato quando aveva aperto la pagina web e aveva trovato il sito oscurato. All’inizio non era riuscita a capacitarsene, pensando che fosse un errore. Poi le era venuto in mente l’ultimo post che aveva pubblicato: un sunto dell’Uomo a una dimensione, di Marcuse. Un testo scritto negli anni 50 del 1900, che tra le altre cose teorizzava le nuove forme di controllo utilizzate dalla società industrializzata. Aveva aperto il post con una citazione:

“Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico.” [L'uomo a una dimensione, Marcuse, 1964]

Quando aveva capito che il blog era stato oscurato a causa della sua posizione politica aveva iniziato a preoccuparsi, e non aveva più smesso.

In un modo o nell’altro, però, la vita continuava. Amazon vendeva l’ultima versione di Full Metal Fantasy ma non la comprò. Non aveva tempo di giocare: doveva fare in modo che il Signor Edoardo Martelli della Tessil Inc. scegliesse la sua azienda per progettare l’estetica dei nuovi innesti; chiamare il commercialista; aggiornare il blog e chiedere a Giuseppe Bacchi di stravolgere il sito in funzione delle nuove uscite per la precollezione autunnale, che tra parentesi avrebbe dovuto vendere nei due mesi successivi, quindi doveva anche accertarsi che il rappresentante fosse pronto a muoversi.

No, niente Full Metal Fantasy XIII, pensò rassegnata.

L’avvocato arrivò e ne andò prima che lei finisse di lavorare. Si era concessa solo una pausa per comprare del sushi da asporto intorno alle 14. Quando uscì era buio e c’erano crocchi di studenti davanti ai ristoranti cinesi.
Si strinse nel cappotto, accese una sigaretta di vero tabacco (un lusso che si concedeva solo un paio di volte al giorno, mai prima delle 20) e s’incamminò verso via Lagrange. Alle 21 aveva appuntamento con Alex Vai per una cena da Eataly. Alex era il corriere di fiducia a cui Paola affidava le spedizioni delicate, ma soprattutto suonava nel duo rock-industrial Come Back Walker. Paola era andata a sentirlo un paio di volte, all’Hiroshima Mon Amour (locale stranamente ancora aperto nonostante ospitasse musicisti dalle posizioni politiche piuttosto forti. Forse si trattava del famoso 1% di libertà concesso dai regimi?).
Alex era già arrivato e quando la vide alzò la mano in segno di saluto. Sembrava una macchia nera in mezzo ai torinesi abbigliati secondo la moda fluo del momento, ma a Paola andava benissimo così. Odiava i colori fluo.
Da Eataly si potevano ancora mangiare cibi coltivati a terra e insaporiti con spezie naturali. Era molto caro, ma suo padre sarebbe stato felice di offrire la cena alla figliola e al suo collega (anche se non era strettamente necessario che lo sapesse).
- Allora, che succede nel mondo dei musicisti underground? – chiese quando si furono seduti.
Alex la guardò con eccitazione: – Pare che aprano uno spazio nuovo, molto in controtendenza, dicono addirittura “sovversivo”. Infatti si sposterà ogni pochi mesi tra vari locali e zone in disuso. Jon sta prendendo contatti per suonarci.
- Uhm – mugugnò Paola. – Probabilmente lo gestirà il nipote di un comandante di polizia che denuncerà tutti gli avventori. Io ne starei alla larga.
Alex rimestò i germogli di soia nel piatto. – Non ci avevo pensato – bofonchiò.
Paola si accorse con fastidio della telecamera a circuito chiuso che sembrava inquadrare proprio loro due. Sbuffò e si concentrò sulla cena.

Lasciò Alex intorno alle 22:30, certa che avesse qualcosa di interessante da fare, e si diresse a casa. Finalmente. Il giorno dopo non avrebbe dovuto lavorare ed era da parecchio tempo che non si godeva una bella serata senza preoccuparsi delle ore di sonno da recuperare.
L’appartamento l’accolse con una combinazione di luci soffuse, aroma di lampone e musica jazz. Paola lasciò cadere in terra borsa e cappotto, si tolse le scarpe e si gettò sulla poltrona. Davanti a lei il monitor a parete si attivò immediatamente. “Bentornata, cara” le scriveva il pc sul maxischermo, “vuoi che ricarichi l’rpg da dove l’avevi lasciato? Temo che la tua gilda ti abbia espulsa, ma hai ancora molti amici tra i ribelli.”
Paola sorrise e schiacciò Enter. Aprì un minuscolo cassetto nascosto nel bracciolo della poltrona e ne estrasse una scatolina dorata. L’aprì con cura e prese una pillola bianca che inghiottì all’istante. Rimise a posto la scatoletta e sorrise.
- E va bene, stupidi decerebrati di gilda guaritori, ve lo do io qualcosa di cui preoccuparvi – ghignò. Davanti a lei lo schermo si dissolse, così come la poltrona nella quale sedeva. In un paio di minuti tutto il suo mondo era fatto di cavalli, spade, grifoni e guaritori da sterminare.
“Wow” pensò prima di perdersi nel suo personaggio.

Immagine palestra


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