Della "questione giovani" si parla ormai nel nostro Paese con cadenza quotidiana. E non potrebbe essere altrimenti visto che, come osservano tutti i principali analisti, da anni l’Italia è bloccata e paralizzata a livello economico e sociale con la drammatica conseguenza di aver perduto il fior fiore della sua comunità nazionale: le nuove generazioni. Sia perchè impossibilitate a crescere in ambito professionale, finendo per sparire da ogni rilevazione demoscopica, sia perchè come sempre più di frequente accade fuggono all'estero.
Uno di loro è Francesco Santarelli, ricercatore che vive e lavora in Germania. E che quando inizia a parlare della sua Patria, poggiando le mani sul volto e scuotendo la testa, esclama disperato: "Mamma mia!". La sua storia trova spazio, assieme a quelle simili di tanti altri giovani italiani, sul magazine tedesco Mittelbayerische zeitung, che come molti punti di osservazione sparsi nel vecchio continente cerca di comprendere quali sono le reali cause che spingono una miriade di ragazzi italiani a lasciare il proprio Paese.
Francesco è emigrato dieci anni fa ma non ha certo dimenticato l'Italia, che scruta giorno per giorno da lontano leggendo su Internet della grottesca satira politica che il Belpaese offre purtroppo al resto del mondo. Continua a parlare coi suoi amici che ancora non hanno maturato la sua stessa scelta di fuga, tutti over 30 e tutti laureati, con grossi problemi ad arrivare a fine mese e tanta paura del futuro. E' quella paura che gli fa ritenere di aver preso la decisione più giusta per quanto sofferta.
L'Italia sta vivendo una nuova emigrazione, i cui numeri non sono certo paragonabili a quelli del passato. Così come stavolta è diversa la disperazione di chi parte: non povera gente senz'arte nè parte ma cervelli superqualificati e frustrati. Sul fenomeno esistono pochi dati concreti ma quelli che ci sono indicano una tendenza assai netta e inequivocabile. Secondo l'AIRE (l'Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), infatti, il numero dei giovani italiani laureati o diplomati di età compresa fra i 25 e i 39 anni che emigrano, nell'ultimo decennio è quasi raddoppiato.
E secondo un più recente studio dell'Adecco, un incredibile 89% dei laureati italiani è convinto di trovare migliori possibilità di lavoro all'estero che in Italia. Come Francesco, che oggi lavora in un laboratorio tecnico all'università bavarese di Regensburg e che in Italia non avrebbe mai ottenuto un simile impiego. Non alla sua età e soprattutto non certo con uno stipendio adeguato. In Germania, invece, già il tirocinio viene completamente retribuito.
Qui da noi, dove i contributi statali agli studenti sono sporadici e di ridicola entità, gli studi di specializzazione, i tirocini o i praticantati sono un onere finanziario enorme per lo Stato. Che preferisce non investire negando a gran parte dei giovani italiani la possibilità di iniziare una vita propria e indipendente. Con il risultato, confermato dai dati Istat, che il 30% dei trentenni e quarantenni vive ancora con i genitori, guadagnandosi proprio malgrado l'appellativo di "bamboccioni".
La differenza col resto dell'Europa emerge in modo drammaticamente chiaro dalle parole di Francesco. Quando è entrato per la prima volta in una biblioteca universitaria tedesca, lui non voleva credere ai suoi occhi e alle sue orecchie: tutti quei libri sugli scaffali poteva prenderli in prestito e portarseli a casa per studiare. E per costruire degne prospettive al proprio futuro.
Da quando, nel 2001, Francesco è partito per la Germania l'Italia è rimasta ferma. E' la società più anziana di tutta l’Unione Europea, un Paese dominato dalla "gerontocrazia": nelle istituzioni, ai vertici delle aziende, dietro le cattedre universitarie sono tutti vecchi. Che per di più si aggrappano ferocemente alle loro posizioni di privilegio e ai loro ricchi stipendi. Per i giovani non c'è speranza. Troppo spesso riesce ad emergere solo chi è imparentato con i più alti notabili, aggiungendo alla gerontocrazia la piaga del "nepotismo". Il danno all'economia nazionale che tali storture produconomo è enorme. E l'esodo dei giovani talenti ne è il peggiore risultato.
Se qualcuno prova a chiedere a Francesco Santarelli, l'emigrante, se ama ancora il suo Paese la sua risposta è sì. Ma se gli si domanda se oggi ci tornerebbe, allora il suo amor patrio si confonde con la rabbia e con l'indignazione, sentimenti che lo spingono a spronare anche i suoi amici in Italia affinchè preparino i bagagli e vadano a cercare fortuna - e dignità - altrove.
Del resto, anche quando alcuni giovani provano a rientrare in Patria dopo aver accumulato esperienze e meriti professionali all'estero, sono subito costretti a scontrarsi con la realtà deprimente di non avere accesso ai posti di lavoro più adatti e qualificanti. E allora, osserva Francesco, come si fa poi a difendere l'Italia dagli immancabili attacchi a base di vecchi stereotipi? Come si fa a convincere l'evoluta Europa che la propria terra natia non è solo "mafia, pizza, spaghetti, mandolino" e, da qualche tempo, "Berlusconi"?
Eh già, i nuovi emigrati soffrono doppiamente: perchè si sentono dei reietti e per come ogni giorno l'Italia si ridicolizza da sola agli occhi del mondo. Ma non lasciando che la sofferenza li vinca completamente, al punto da soffocare anche le pur remote speranze di assistere a un cambiamento radicale. Molti giovani hanno deciso di creare una rete, tenendosi costantemente in contatto. "Il manifesto degli espatriati" è uno dei blog dove dichiarano chiaro e tondo cosa non riescono a mandare giù della situazione nel proprio Paese. Un altro si chiama "La fuga dei talenti", il cui autore scrive: "L’Italia non fa parte dell'Europa. Lo dico con tutta l'amarezza di un italiano".
Fra questi ragazzi c'è chi, dopo aver visto le immagini delle rivolte arabe, si è augurato una simile ribellione anche in Italia. Una reazione civile ma decisa. Perchè in fondo tutti sono seriamente in pena per il futuro del Paese d'origine. Temono che la rabbia della gente verso gli egoismi e gli abusi della "casta" possa prima o poi peggiorare tutto, e che l'Italia possa perdere l'ultimo pezzo di parvenza democratica che ancora le resta. "Mi piange il cuore", scrive Francesco dedicando un ultimo pensiero all'Italia.
Impossibile trattenere le sue lacrime. Impossibile non far qualcosa di fronte alle cifre che di continuo vengono propinate dai media peggiorando un clima sociale già fosco e smarrito. Solo qualche giorno fa sono state diffuse le ultime in un rapporto curato da Svimez, che descrive un Mezzogiorno depresso e fermo, nel quale ormai si contano due giovani su tre a spasso e dove il 30% dei laureati sotto i 34 anni di età non lavora. E' un Sud che arranca, con le famiglie che hanno difficoltà a spendere.
Un allarme che se inascoltato potrebbe davvero dar corpo agli spettri che tormentano giovani come Francesco, e scatenare un conflitto sociale senza precedenti. Perchè la questione generazionale italiana, nel Meridione più che al Nord, diventa ora vera emergenza. In base alle valutazioni di Svimez, nel 2010 il Sud Italia ha segnato rispetto all'anno precedente un modesto +0,2% di Pil, ben lontano dal +1,7% del Centro-Nord. Nel lungo periodo, il dato è stato addirittura negativo: dal 2001 al 2010 il Mezzogiorno ha segnato una media pari a -0,3%, decisamente distante dal +3,5% del Centro-Nord, a conferma del perdurante divario di sviluppo tra le due aree che dovrebbe indurre ad assumere tutte le precauzioni del caso quando si parla di riforma in senso federale dello Stato.
Negli ultimi due anni il tasso di occupazione è sceso in tutte le regioni del Sud. Particolarmente forte è il calo in Basilicata (dal 48,5 al 47,1%) e Molise (dal 52,3 al 51,1%). Valori drammaticamente bassi e in ulteriore riduzione si registrano anche in Campania, dove lavora meno del 40% della popolazione in età da lavoro, in Calabria (42,2%) e Sicilia (42,6%). Degli oltre mezzo milione di occupati in meno nel corso degli ultimi dodici mesi, il 60% risiede nel Mezzogiorno, dove sono aumentati di oltre 750 mila unità gli inattivi (nè occupati nè disoccupati). Quanto ai giovani con un alto livello di istruzione, quasi un terzo dei diplomati ed oltre il 30% dei laureati meridionali under 34 non lavora e non studia. Le situazioni più critiche, con oltre 167 mila laureati fuori dal sistema formativo e dal mercato del lavoro, si registrano anche in tal caso in Basilicata e Calabria.
Uno spreco di talenti inaccettabile, specie se raffrontato a quanto avviene nel resto d'Europa. Ci pensa l'Istat a mettere a nudo le differenze: il tasso di occupazione dei giovani 15-29enni è appena del 34,5% in Italia, del 56,8% in Germania, del 46,6% in Francia, con una media Ue del 47,8%; il tasso di disoccupazione, invece, fra i giovani appartenenti alla stessa fascia d'età è del 20,2% in Italia, del 9,2% in Germania, del 17% in Francia, con una media Ue del 16,5%. Inoltre, la quota di giovani italiani fra 15 e 29 anni che non studiano e non lavorano raggiunge addirittura il 22% della popolazione corrispondente, la quota più alta in Europa.
Insomma, in un contesto in cui le nuove generazioni subiscono la forte esposizione all'altalenante ciclo economico è proprio la solidarietà familiare (che da noi rimane forte e alimenta il luogo comune del "bamboccione") a favorire, combinandosi con un welfare pubblico carente, tutta una serie di dinamiche che frenano la mobilità sociale e rendono meno equa la società nel suo complesso.
Ma fino a quando il supporto della famiglia potrà rappresentare l'unico ammortizzatore sociale per le nuove generazioni, almeno per quella parte di giovani che ci mette più tempo a maturare la dolorosa opzione di portare il proprio talento altrove? Non è più soltanto una questione di opportunità legate alle migliori risorse della società italiana; non si tratta più di creare semplicemente le condizioni affinchè Francesco e le migliaia di giovani che come lui sono espatriati facciano presto ritorno "a casa". In gioco, adesso più che mai, c'è la sopravvivenza stessa della nostra comunità nazionale.
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