Giovani Prospettive: Omaggio di parole a Cristina Rizzi Guelfi

Creato il 22 aprile 2015 da Wsf

Cristina Rizzi Guelfi è una giovane fotografa italiana autodidatta.
Ha partecipato a La Poetica del corpo e Il Corpo Poetico con il Collettivo WSF.
Ed è già presente su WSF con immagini e suoi testi.

Ha imparato a piovere sulle mie emozioni, sulle abitudini abituate al passato, sui pensieri più miei e più scabri, come

un’impronta d’alfabeto, una missiva mancata, un albero piantato da mio padre, storto dei tempi in perpendicolo sui miei umori e sulla casa, sulle finestre incistate tra un alloro e una prosodia, un figlio –

– insegnano a vivere, i figli, come il buio quando si è bambini e a notte si è
più forte
più ancora
bambini.

Ho messo un bacio tra il tuo mento e la mia assenza, hai morso un urlo constatando la mia voce, una sorta di ritorno e di incertezza con la vocale della mia schiena.

Tu semini alloro, io non dormo : imparo.

Continua che ancora piove. Incede e stenta. E dunque. Piove.

(Alba Gnazi)

***

indagata ogni goccia del pantano
annega indenne in uno schizzo
la parola

e mi riprendo me
dentro una via senza indirizzo
sciabola di lingua dimenticata
alla soglia affilata
scotta il sorso del perdono

(Carmen Morisi)

***

E a volte di Francesca Dono

e a volte hanno frettAspaziare,
in picchiata o petto d’ uccello.
Potrebbero tagliarEstreme,
dileguarsi oltrErette bandiere,
gradinImportuni
per contemplare il mare.
Ma qui tessono e
non c’è bocca chErige il peso.
Ovunque,gomito a gomito,
limiti asolImmediati,
allodole,
cinque parole.

***

NOI DUE di Marino Santalucia

Sapevo già tutto
sugli affanni della vita, l’intensità
le sensazioni della brezza all’inizio.
Ora cammino su una fune
che attraversa lo strapiombo.
Ovunque io sia
guardo l’ombra riflessa.
Noi due
creature inscindibili.

***

Nulla di Afasia

Nell’oscurità della notte la fievole luce della candela prospettava un ritratto dal carattere inconsueto. Strani contrasti dispiegavano sagome che riproponevano consecutive e celeri variabili. Apparivano, a tratti, materializzandosi tra la vuota parete e i ripiani dello scaffale.
Contemplavo con meraviglia, attratta dai repentini mutamenti, pian piano perdendo la cognizione della realtà ponendomi all’osservazione in uno stato di semi-coscienza, di trasparenza totale, cancellando intorno ogni traccia tangibile della mia esistenza.
Anche quell’ombra nera, che prima nettamente mi seguiva, andò via via restringendosi sino a sparire del tutto risucchiata nel nulla.
Divenendo io stessa: nulla.

***

Killer di Luca Ispani

Ricaccio urla in gola
la voce me lo chiede
molto le devo
orecchio sincero
sinuoso il ritrovarsi lento.
Recido la trachea
La voce ora comanda
sinapsi spalancate
ti lascio lì nuda
tu, si proprio tu
che irridevi la mia comparsa.
Se sarò stella cadente nel cielo della vita
la voce mi proteggerà
e io lo farò ancora.

***

Resistere di Patrizia Sardisco

Resistere. E che altro
piegata a dispiegarmi
arte di farmi pietra
opaco arco riflesso

volta [ ma quando, in quale
l’unghia affiorò il crinale
voltò le spalle al cuore?]

pelle di lava fredda
ho smesso di cercarmi
stelle riflesse addosso
e pozzi con la luna

Non puoi intuirmi azzurra
d’acqua dentro ai crateri
_ la lava è sole nero.

***

il mio è un corpo differente
ed io mi perdo in esso
come fosse un meccanismo che si rimette a posto da solo
che sbaglia ancora di giorno nei suoi strati di pelle avanzata
senza tenere conto che di notte può essere
una piena trasparente / nutriente
a coppa sul tuo zigomo / sbieco

il mio è un corpo reclinato su muri artigliati di latte
bruciante del trapasso di un giorno restio all’altro
un tonfo siderale che avanza e si fa avanti da solo
su ossa esposte che non lasciano traccia
ma che stringono le mie alle tue
con parole precipitate tra gli spazi di freddo
che sopraggiungono a velo sulla schiuma del tuo [ non ] senso

(Rosaria Iuliucci)

***

analgesia di Afasia

analgesia di un colloquio spezzato
dal rigo mozzato il rigagnolo d’un discorso
avvinto e costretto in morso di perbenismo
per questo breve pensiero lungimirante a zolle
percorso arido e pupille assenti di colore
parole assoggettate
incollate sulla pelle
senza calore
volteggiano
verso il niente
fluente.

***

silenzio in fronde
per tonde chiese
artigli ad abiti corti
con forme fondenti.
Fascicoli sospesi
capitolano
storie brevi
e lettere chiuse.
Tra denti appesi
lunghi addii grevi
e lievi notti tradenti.

(Afasia)

***

VERTEBRE DI CROCE di Antonella Lucchini

E’ possibile importunare
il tempo
e indurlo a smagliare
alcune schegge
della croce che morde alla vertebre?

Le cose che non si vedono
esistono molto di più.

Posso prendere un mazzo
di giorni
stracciarlo
ucciderlo sotto il calcagno

e sentire le fitte
sbattere contro le costole

senza che nessuno veda.

Perché io sto in piedi
davanti all’altro

ma la mia forza
è sdraiata.

E rido
con gli angoli della bocca a scendere

e faccio anche l’amore
accogliendo un seme
in una terra disidratata.

Mi detesto
per essere così debole

mi amo
teneramente
perché sono così debole.

Che si sciolga
questo legno che percuote!

Che si squarci
un qualsiasi cielo!

Che mi trapassi da parte a parte
un verso

e mi sveleni!

***

Specchi di Guido Mura

Potesse balzare l’immagine
dallo spazio e dal tempo
e apparire chiara,
fissarsi in uno specchio
senza cambiare,
muta
ma eloquente a mirarla,
senza parole e suoni
da palesare al mondo.

Se uno sguardo impietoso
penetra la tua scorza e tocca il buio,
scorge il cielo e la terra
avvinghiati in silenzio;
e allora inventi strati
di mercurio e d’argento,
perché ognuno non veda che se stesso,
il volto che più ama.

Specchi adorni di luce,
rimbalzi d’illusioni,
mascherate invisibili barriere.
Così l’artista inganna il suo fruitore

***

ti racconto la storia di una madre triste
radici che diventarono braccia fitte e scure
del dolore rosso che mascherò il corpo
andandosene nel fluttuare dei sogni
come quando abbracciava la figlia fragile
dai lunghi capelli neri come quella notte
che pianse a memoria tutte le parole del mondo

(Antonella Taravella)

***

Mercante et fiera di Andrea Borrelli

Tra caricamento a salve e pelle
Comincia la sciancata valanga
Di gusti d’ordinanza e bende
Sugli occhi delle calde belve

Non mi avvicinare
Non indicare
L’effetto della neve che cade sulle strade già bagnate si confonde
Il ghiaccio fa paura

Elenchi elencate
Parole giovani nelle bocche dei denti marci
Antiche risa verdastre color rantolo

Sta per finire
Terminare il piatto con la pulizia del fondo
Olio di gomito per quel pezzo di pane
E pace, tanta pace di contorno

Alle nuove razze
Dice non s’impegnano abbastanza
Al male
Che sa di sale

Un bicchiere di vino al secondo
Un minuto prima di morire
E ridere
Con tanta, tanta pace di contorno

Passano le vecchie ciminiere
È festa, un dì di festa
Per farci salutare
Poi si torna tutti in coro
All’altalenare

Le città spengono le luci per un’ora
Un’offerta a dio
Della pace che non sa aspettare
A un metro, un metro sulla statale.

***

Angoli di Afasia

Negli angoli
gli asili segreti della mente.
Angoli soli
contenuti ed assopiti.
Angoli in agguato
misurati ad acciuffare
accidentali pensieri di passaggio.
Angoli bui giacciono
su un bilobato piano ottuso
di incoerente passato.
Angoli si perdono
inclinati senza assoluzione.
Angoli ammanettati
da cartesiane ipotesi
si liberano in giri
di terra e di aria
di acqua e di armonia.

***

E più di tutto lasciOrme, appesErbe sulla strada
che il vento dorme.
Mio petto, passamIndenne, passamiIncantata ora
laddove tutto non bara,
lievemente non mente.
Sapessi quanto questObelisco non ubbidisce al pianto e mi ruggisce accanto,
dislessicOtre d’ammanco.
Ma sgonfio, timida acquAllaluna,
parolEbbre sul cuscino bianco,
finche ’m’arrampico
bacino d’altrAria , dAlba gravida
come primo manto.
Sapessi come incidEnorme questo letto, forse veleno armeno per nome
e più di tutto al fianco.
Sapessi.

(Francesca Dono)

***

Via Dei Pubblici Macelli N.155 di Enzo Moretti

nel disagio
rifiuto
gli affollamenti che stremano
i corpi imbottigliati per il macero del gregge

soffro la quantità
sovrumana dell’attesa

mi deprime
il livello degli zuccheri
l’insufficienza epidermica
a difesa dell’anima

il primo freddo
che intorpidisce le dita
l’accanimento poetico in fase terminale
della corteccia selvatica che vado sputtanando

-le calorie dello stomaco
non tamponano le inquietudini-

al dunque
inghiotto la cellula
cartuccia di eroina che scoppia
dentro e sputa gli occhi
mentre mi stritola una moltitudine
di braccia inutili come un’assurda beatitudine

questo mistero di luce autunnale
piove e improvvisa una felicità che bussa
e non trova rose né vino
solo l’avanzo dei giorni e lo stuzzicadenti
sul mio petto scarnito

***

Cuniculi di fango di Afasia

Acqua, acqua e terra.
Travertino duro
il suo volto
di madre che cerca
tra dì, erba, e cunicoli di fango.
Acqua, acqua e terra.
Avvinghiano con la corda
la vita in immagini e video.
Flashback.
Sorriso pallido di fard
e un corpo corroso
aspetta l’abbraccio.
Acqua, acqua e terra.
Travertino duro,
il tuo volto
di madre che mi cerca
nell’erba, in cunicoli di fango.

***

Quando mi avvicino a te mi lasci solo, attrai e respingi, aggredisci e distruggi, spiani e ostacoli, perpetri la tua vendetta per un passato ostile, l’unico luogo dove i tuoi slanci prendevano corpo era una misericordiosa sala d’aspetto, e aspetto, ancora aspetto il prossimo dispetto, aspetto nuove prime visioni, aspetto il liquefarsi di tutte le religioni, cocci di rumori clandestini disegnano percorsi alternativi ai miei occhi, mi distendo sul letto come fossi una bambola gettata via, odo le cornamuse, chiacchiere da bar, vorrei non ripetermi mai e non avvicinarmi più, i tuoi occhi sono mostri imperscrutabili, divinità indissolubili, non moriremo più dopo questo stallo temporaneo, non vivremo più l’attesa della morte, ci accamperemo dove non arriva il vento a spostare l’immobilismo dell’istante, filosofi di quarta generazione proliferano nei prati della metafisica, l’abbandono repentino di regali nati morti, oroscopi multimediali con decorrenza sballata per pochi decimali, tema natale, agnello di Dio.

(Luca Gamberini)

***

Preghiera al Padre di Afasia

Padre
Non posso affrancarmi
dagli errori
dai miei tanti peccati
non ho contante per pagare il riscatto.

***

Albe di Carlotta Pederzani (dalla silloge “Sintesi additiva”, La vita felice, Milano, 2013)

Albe scivolano al davanzale,
individuano forme alle cose;
lambiscono i segni…
… si ritraggono in onda.

Basta questo accarezzare reticente
a violare il mistero.

Indugia allo stipite
– tradito –
un silenzio di preghiera.

***

I muri non hanno orecchi di Afasia

Esiste in taluni l’assurdo convincimento che le case vedano e ascoltino quello che avviene nel loro interno, oppure che captino e raccolgano emozioni assorbendole nelle pareti o che decretino il destino dei nuclei famigliari che ospitano elargendo loro felicità e fortuna o infelicità e malasorte. I muri, secondo costoro, sarebbero come labirinti di spugnosi interstizi pregni di parole, di pianti, di risolini, di odio, di amore.
Stronzate!
Nulla di vero in tutto ciò: i muri non hanno orecchi.
L’unico fatto tangibile, per me, è che da un giorno all’altro mi sono ritrovata a convivere con un abitazione estranea senza l’opportunità di poter tornare indietro.

***

per quanto la valigia sia solo un’idea di contenuti possibili
noi coltiviamo un’intimità irrisolta che non trattiene senso
e la forma ha disconosciuto gli oggetti
in incapacità di composizione

l’esistere è abbandonato all’idea di spazio che
non dialoga perché nessuno patteggia con il vuoto
che pure spadroneggia lasciando lo sguardo
isolato sull’abisso del movimento

tu decidi di non attraversare questo luogo
che pure ci trattiene
io sostengo l’impronta del mio corpo
che non molla l’idea del possibile

seppure la luce insiste ad esercitare presenza
la sua ingenuità non ci confonde
e non ristrutturiamo e non demoliamo questa intimità
che deteriora senza distrazione

(Sofia Demetrula Rosati)

***

Lontano, Lontanissimo di Afasia

Lunghe pareti le crepe della mia vita.
Oltre, molto oltre, il moto del futuro
nuota un cieco passato, tuttora prossimo,
travolgendo marosi d’un remoto rimpianto.
Assente nell’oblio non ravviso ragione
nella prigione di pioggia è incagliata .
Ombrello spezzato lontano, lontanissimo.

***

Il collo, indietro, così.
E’ mio, lo voglio, voglio baciarlo, leccarlo, annusarlo, succhiarlo, morderlo, disporne a piacimento, osservarne la curva mentre gli occhi ti si chiudono, mentre la bocca semiaperta lascia intuire parole impronunciabili e respiri infrequentabili.
Scivolano le mani, scivolo col corpo dietro di te, accarezzo i fianchi, mi riempio del calore della tua pelle, m’inebrio della tua voglia, gioco col velluto della tua pelle, premo contro le reni, immagino i capezzoli che non vedo ancora.
Mi abbasso sul tuo culo, odoro le tue mutande nere, rimando l’attimo in cui te le leverò, mi rialzo e resto dietro, nascosto dal buio, unica luce il biancore delle tue carni.
Sarà questa stanza grigia e nera, saranno queste finestre nascoste, sarà la musica che non si sente.
Sarà il movimento veloce delle lingue, i gesti affannati delle mani, il pulsare del mio cazzo, il desiderio del tuo sesso, la forma dei tuoi piedi.

Il collo, prima di tutto, poi, mangerò il resto.

(Rosario Campanile)

***

l’aria ci annusa
il corpo
irrequieto della voce, questo silenzio
che cambia ogni volta luogo
al desiderio e snuda
pagine strappate agli occhi
di tutti.

parole di latte
crudo crescono
un bianco innominabile
da bocca a bocca, la traccia
viva che vogliamo
essere pura consumazione
sentimentale.

(Sylvia Pallaracci)

***

Pasqua Di Nanà Enchant

Non riesco a scrivere di Domenica.
Per me
è il giorno del signore.
Il giorno sacro e santo in cui si riposa la mente.

Non sono affatto religiosa, ma
contendo il mio laicismo con gli occhi.
Astengo ogni sussurro
per controbattere
nel nuovo giorno, i passati a meditare
parole affilate.

Ecco il perché delle domeniche; del sonno
continuo, sperare nel vuoto.

Quanto amo il silenzio.
Ed onoro
lo stantio che porta
l’immobilità.


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