Giovani Prospettive. Omaggio di parole a Rosangela Betti

Creato il 06 febbraio 2015 da Wsf

Rosangela Betti nasce a Mercatale-Sassocorvaro (PU) il 27 ottobre 1946.
Studia alla scuola d’Arte F. Mengaroni di Pesaro. Non porta a termine gli studi. E’ autodidatta in tutte le sue forme espressive. Vive e lavora a Rimini.
Prima mostra di pittura a Pesaro nel 1968.
Dall’ottobre del 1980 inizia ad esprimersi con il mezzo fotografico.
Prima personale di fotografia alla galleria Ken Damy a Brescia nel 1982.
E’ stata pubblicata su varie riviste di settore e non. In Italia e in Giappone.
Hanno scritto di lei: Italo Zannier-Giovanna Calvenzi-Roberta Valtorta-Giuliana Scimé-Roberto Mutti-Paolo Barbaro-Denis Cur-ti-Ken Damy-Ando Gilardi.
Vari articoli che parlano del suo lavoro sono apparsi su importanti quotidiani, quali: La Repubblica-Corriere della Sera-L’Unità-Il Resto del Carlino e settimanali quali L’Espresso.

STONATE ECLISSI di Fabio Bosco

Sangue
sulle ali degli angeli
e sulle rive di presagi indecifrabili,
rossi riflessi che non sono alba,
ma ferite
a dipingere contorni
di un pianto che mi corrode i tendini,
accovacciato in angoli di letti disfatti.
Benvenuta ora in questi luoghi ostili…
entra,
e divorami gli occhi
danzando scalza in giardini marmorei,
dona sussulti alle mie indegne notti
dove piogge sventrano silenzi
di salmastre lacrime
e neri vellutati germogli
di sospiri insalubri
scindono svenduti attimi
dall’eterno declino
di due lugubri amanti…
entra,
e osservami disciogliere
in sospirati sguardi
di un etere ipnotico,
disegni scarlatti di un sogno morente;
come graffiti di luce
in un abbraccio di nero,
il tempo sarà vigile assenza,
giallastro vomito
di luci al neon
a inquinare l’armonia geometrica
che queste mani invocano…
vieni,
e non conoscerai odio più grande
di quello che provo per me stesso;
da un grembo a una tomba,
ciò che sarò
non è poi così diverso
da ciò che sono stato:
un corpo imputridito
consegnato al tempo che ci separerà,
per sempre.

***

di Rosario Campanile

Quando sogno sogno questo.
Un nido.
Nel nido mi sento protetta, il nido mi avvolge e mi veste, posso stringere a me i fili dei ricordi e le trame del futuro, riesco persino a vedermi allo specchio senza dover alzare lo sguardo, a sentire con tutte le singole parti del mio corpo, tranne che le orecchie, a comporre una curva senza soluzione di continuità, nella quale provo a disegnare l’0tt0 sdraiato dell’infinito.
Nel nido mi amo e mi amano, mi metto al sicuro dalla passione, mi incenso di silenzio.
Nessun odore, né sapori, fuori che quelli che voglio io.
Il nido è un graffio che non mi incide la pelle, un bozzolo con dentro la farfalla formata, un metro di giudizio che prescinde da morali e regole, un attimo di vuoto nel pieno del caos esterno.
Il nido ha gesta di vetro, colori della notte e del giorno, sfumature che pervadono.
Nel nido la mia pelle è candida, i miei capelli avvolti, le mie decenze intonse.
Se piango o no, sono solo fatti miei, se sto sorridendo, non lo do a vedere a nessuno, se penso a voce alta, è solo il tempo che mi presta ascolto.

Quando sogno sogno il nido.
Ed è solo mio.

L’inganno di Guido Mura

Appari e vivi
les sombres nuits de l’âme
ancora vieni
les illusions à perdre
solo il tempo di un suono
che nel buio svanisce
je me souviens
ancora m’attraversa
il tormentoso ed estenuante inganno
della bellezza
venefica hermosura
senza pietà né sosta
unheimlich
la quotidiana oscurità
dilaga nei cortili
nei portici segreti

Ti perdo non ti seguo
e mi ostino a sognare
con passi lenti e lievi
calpesti la mia sete
insaisissable
lumière d’autres mondes
le visage – le visage
il volto dell’inganno
vivere ancora sempre
senza capire
come l’intenso volo della spiga
verso il sole e la morte
appaia circonfuso di splendore
e miriamo stupiti al suo passare
la radiosa presenza
del condannato

Nero su Nero di Rosaria Iuliucci

ho moltiplicato ogni parola /
le ho segnate di nero sul cuore
piegandole come la notte
nell’attimo prima che esploda
e si faccia incarnato buio
sul mio corpo convesso esposto
fra te e le costole scomposte

ho decimato ogni respiro / bianco
intriso di dis.gelo e anima smisurata
che con fotogrammi di luna dipartono altrove
fra scaglie di lingua inchiodate al costato
convulse come vermi
a flagellarmi poi dentro
di una memoria ormai fatta di legno
come un pugnale scarno che elude la vita

sono stata gravida di ogni tua forma /
un rifugio d’acqua per ogni tua radice
sono stata naufraga e mai r.accolta a riva
un bruco mai nato con ali già rotte
/ sono stata un grembo fertile
per il tuo delirio
e la mia ennesima morte /

*

( nuda ) di Carmen Morisi

chiamala timidezza
quel desiderio di trasparenza
mi scopre impudica
spoglio il mondo
fino all’osso
teneramente mordo
e voglio

farmi giorno
accomodata di occhi amati
esercitare orecchie e mani
riconciliare il cuore

è generoso il tempo ritrovato
— un poro dopo l’altro

irrevocabile il tempo
dentro un corpo amato

*

di Maria Grazia Di Biagio

Che siamo è l’opinabile evidenza
mescola d’aria d’acqua di carbonio
sostanza molle illusa di supremo
Verdi – per gioco di luce – arbustive
stanziali su argomenti scoscesi
La verità profonda dei pigmenti
– per assorbimento – non appare
Solo che talvolta mi rovescio
– non lo faccio a posta –
mi si spandono i colori.

*

di Maurizio Manzo

L’acqua si distende assetata così come la morte
si muove viva scalmanata di giorno si fa quasi
subito notte è che la sera soffre una strana pena
e che il trascorrere le ore è il susseguirsi del ripiegarsi
infiltrarsi infine dove la luce elimina l’aria
un’apnea fatta di ombre che si sgambettano felici
come labbra che si abbracciano e dischiudono di continuo.

di Antonella Taravella

un quadro muto – nella parete solare
distanza sorda questo cappio di stoffa
e la mia pelle così irta
scava sequenze d’ombra
(ammetto il riflesso – di questo discendere)

vuoto-donna di Lella De Marchi

raro è seminare fino in fondo la tua
logica di vuoto-donnache rinasce
da se stessa ogni volta, ogni volta
c’è qualcuno che non sente ogni volta
c’è qualcuno che non mente,
esangue ti attorcigli al ciglio della strada
ti assottigli fino a quando più non senti
che spiragli, madre-cellula
in un contenitore perfetta dentro gli angoli
degli organi aderisci,vuoi
cercarti in uno sbaglio della vista
avanzare col tuo passo nel cammino, vuoi
far nido del tuo nido dire
il concavo e il convesso
della tua dimora

L’ultimo palco di Chiara Baldini

Sono bella?
Lo sei. Leggilo, nella tua figura liscia.
Scivolata nell’età, diranno …
Non temere, c’è la notte che t’afferra e regala celando.
Un raggio in dono, chiederei potendo!
Beato potere qui sono, il tuo fianco. Da sempre manco di luce per fare la tua.
Sapranno sognarmi, come un tempo?
Ti avranno sempre certa all’alba, perchè sei stata il tempo.
Preghiera: scioglimial coraggio il ventre e sali con me l’utlimo palco.
Qui, da te non posso risolvermi. Da te non voglio.

Avrei voluto il tuo spirito.
Sarei stata il tuo corpo.

***

Oh bianca signora vestita d’ombra –
dove vai col tuo passo incerto,
a ridosso del passato?

Cammini su un sentiero di pellicola e colla,
carta chimica per immagini riflesse,
vai a imprimere quello che vedi;
mostri ciò che vedi, quello che sei:
una bianca donna in nero
che viaggia nel tempo, raccoglie il passato,
e lo fa emergere nel rosso di una camera oscura.

Ecco, eccola l’immagine che si fa vita sul foglio:
lo zigomo, prima incerto, si fa affilato,
l’occhio è una macchia che man mano prende fuoco,
le labbra sembrano gridare –
la tua bocca, che ricordo rossa di vino,
sul foglio è nera, e gonfia dei miei baci.
Era passato, ora è eterno –
un ricordo in balia dei posteri.

di Daniela Montella


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