Finito di leggere “Il sopravvissuto” di Scurati.
Il ventenne Vitaliano Caccia uccide a colpi di pistola la commissione dell’esame orale di maturità. Spara a tutti tranne uno, il professore di storia e filosofia Andrea Marescalchi.
Vitaliano era il suo studente preferito: bello, forte, protettore dei deboli, ma anche scanzonato, insofferente alle regole e pieno di insufficienze. Per sondare le ragioni che lo hanno trasformato in pluriomicida, il professore ripercorre l’ultimo anno attraverso il suo diario. Ne esce un’immagine dell’insegnamento che preoccupa ed intriga.
Da un lato, i professori sono i primi a tradire i valori che trasmettono a parole; dall’altro subiscono il fascino pericoloso della gioventù e di quello che sono stati.
In più punti gli adolescenti sono descritti come un nemico sul punto di attaccare, come la classe più pericolosa di tutte, anche degli operai. Eppure Marescalchi li considera sempre, fin quasi alla fine, come vittime di un sistema incentrato sulla violenza e la doppiezza. Lui è sempre pronto a difenderli, ha sempre camminato sul confine tra il proprio ruolo e la fedeltà agli studenti:
Lui aveva pensato a quei professori di italiano, storia dell’arte, matematica come dei traditori dei ragazzi che anni addietro, attizzati al fuoco della letteratura, dell’arte, della scienza, avevano intrapreso la carriera scolastica, e poi scelto la professione dell’insegnante, in un lungo percorso di estenuazione, al termine del quale di quel fuoco era rimasto soltanto il puzzo domestico di un gas da cucina incombusto in un fornello dimenticato acceso.
Amaro, eh?
Beh, niente in confronto all’immagine che esce alla fine del suo prediletto Vitaliano, il giovane caro agli Dei. Non vi svelo la fine, vi dico solo che sarà un’amara sorpresa (ma, a parere mio, moooooolto realistica). Ma Scurati gestisce bene la scoperta e il finale raggio di speranza non risulta per niente artefatto.