Giovanni di Fécamp, l’abate poeta che esaltò Cristo innamorato dell’uomo

Creato il 31 dicembre 2011 da Senziaguarna

di Laura Cioni

Isidoro di Siviglia - Miniatura dall' "Isidori libri originum", X sec. - Stiftsbibliothek, Kloster Einsiedeln (Svizzera).

È recentemente uscita da Jaca Book l’edizione aggiornata di Pregare nel Medioevo di Giovanni di Fécamp, a cura di Giorgio Maschio. Nella breve e interessante introduzione si traccia la storia di quest’opera a lungo attribuita per la sua bellezza ora a sant’Agostino, ora a sant’Ambrogio, ora a Cassiano, cioè ad alcuni dei Padri più sovente riecheggiati. Si tratta di un libro di preghiere, simile a quelli utilizzati da monaci e laici già dall’età carolingia, composti dai compilatori alternando brani dei Padri, litanie, preghiere e salmi, allo scopo di favorire la lode di Dio e il dono dello Spirito.
L’autore è un monaco originario di Ravenna, nato attorno al 990, formato nel monastero di Digione e successivamente priore e abate nell’abbazia di Fécamp in Normandia, che governò fino alla morte, avvenuta nel 1078. Egli scrive innanzitutto per se stesso, per avere a disposizione brevi testi, per usare le sue parole, “da poter leggere nei momenti di aridità, capaci di riaccendere il fuoco dell’amore per te, che facilmente si spegne”. Ma altri chiedono le sue pagine ed egli volentieri le mette a disposizione. Esse passano tra le mani degli amici e vengono largamente ricopiate, fino a essere stampate in epoca moderna. Il loro autore cade nell’oblio, fino a quando viene riscoperto nel 1946 come uno dei più autorevoli esponenti della riforma cluniacense e il più notevole scrittore spirituale prima di san Bernardo.
La Confessione teologica di Giovanni di Fécamp è in fondo un’opera di amicizia spirituale e di essa conserva il profumo buono e persistente, offerto nella trasparenza di una forma accurata. Non c’è in lui alcuna allusione autobiografica come in sant’Agostino o alcuna preoccupazione pastorale, come in san Gregorio Magno. Centro della sua teologia è il mistero della Redenzione, con un accento inconsueto di devozione all’umanità di Cristo, dolce Signore innamorato dell’uomo, ben prima dei tempi di san Bernardo e di san Francesco. Il testo latino offre l’esempio dell’uso sapiente delle figure retoriche più semplici e frequenti, quali l’anafora e il parallelismo, che la bella traduzione italiana riesce a conservare.
Egli ha gustato i grandi maestri, dai salmi ai Padri della Chiesa e li ha assimilati così bene da comporre un florilegio dei loro scritti senza accorgersi di fare un’opera originale. La sua persona rimane completamente celata, in luce si trova il mistero della salvezza fino allo splendore della Chiesa in terra e in cielo. Tanti sono i momenti in cui è evidente che la preghiera monastica dell’abate di Fécamp, composta quasi mille anni fa, è attuale e valida ancor oggi in mutate circostanze:

Abbi pietà di me: attirami a te
con la forza della tua onnipotenza
e non mi lasciar vagabondare
dietro alla mia volontà e al mio libero arbitrio.
Non lasciare che si oscuri in me la tua immagine:
custodita dalla tua protezione, essa è sempre stupenda,
sempre nobile e luminosa.
Per te e per il tuo santo nome
accresci sempre in me la fede,
la fede retta, la fede santa, la fede immacolata.
Attraverso l’amore e l’umiltà
essa operi in me tutto ciò che ti è gradito.

Non solo il monaco, ma ogni cristiano è consapevole di essere viandante su questa terra e sa di dover tenere gli occhi fissi alla meta. Ecco come evoca questa condizione di speranza la poesia di Giovanni di Fécamp:

O casa luminosa e bellissima,
io ho sempre amato il tuo splendore
e il luogo dove abita la gloria del mio Signore,
colui che ti ha costruita e ti possiede.
Sospiri a te il mio pellegrinaggio
e a Lui, che ti ha fatta, io dico
che al tuo interno possieda anche me,
perchè anche me Egli ha fatto.
Come pecora smarrita sono andato errando,
ma sulle spalle del mio pastore, il tuo architetto,
io spero di essere a te ricondotto.
Gerusalemme, dimora eterna di Dio, non si scordi di te l’anima mia:
dopo l’amore per Cristo, sii tu la mia gioia
e il dolce ricordo del tuo nome beato
mi sollevi dalla tristezza e da ciò che mi opprime.

da “ilSussidiario.net”, 30/04/2010.



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