Arezzo, Ponte a Buriano (nell’ambito del tour “A cuor contento”)
«Domani si va a sentire Lindo Ferretti? Alle sette suona a Ponte a Buriano.»
Erano circa le tre di notte quando il mio amico Paolo lancia questa proposta.
«Ci sto», tra l’altro quel posto è a un tiro di schioppo da casa mia, «certo che le sette di sera sono un orario strano per un concerto!»
«Guarda non è alle sette di sera» mi corregge, «è alle sette di mattina!»
Così all’indomani, con sole due ore di sonno e le occhiaie alle ginocchia, raggiungiamo il Ponte a Buriano, un paesino in prossimità dell’Arno noto – limitatamente ad Arezzo e dintorni – per la pertinacia con cui i suoi abitanti sostengono che il ponte romano eponimo sia quello raffigurato dietro la Monna Lisa. Siamo certi che troveremo facilmente parcheggio, del resto chi farebbe di domenica, giorno consacrato al Signore e al riposo, una levataccia dopo i bagordi del sabato sera? Ci sbagliamo. C’è una discreta affluenza e trovare un posto si rivela più difficile del previsto.
Compriamo il biglietto. Se da un lato il ritorno di Arezzo Wave nella sua città natale, dopo anni di latitanza, ridesta il mio amor patrio sopito, un po’ mi secca dover spendere sette euro, considerando che, anni or sono, in occasione del suddetto festival potevamo sentire gratuitamente artisti del calibro di Nick Cave. Inoltre i prezzi fanno venir meno uno degli elementi più significativi del festival: la compresenza di tipi umani più variegati, dal punkabbestia all’orafo aretino.
Il palco spartano è allestito bucolicamente nel prato (il paese si trova in un’area naturale protetta della regione Toscana istituita nel 1995). Sono le sette, ma quando mai s’inizia all’ora data? In Italia, poi! Ci sbagliamo per la seconda volta. Entriamo nel bar-tabacchi-alimentari-circolo (e forse ristorante) del paese per prenderci un caffè. Ma, fatto lo scontrino e messici in fila, la musica inizia. Arriviamo che, bizzarria della sorte, sta cantando (pardon, salmodiando) chi c’è c’è chi non c’è non c’è (“Tratti”).
Ci avviciniamo. Lindo Ferretti si trova al centro del palco con le mani in tasca, vestito con una giacca scura e un gilet da cui sbuca il bavero di una camicia bianca: sembra quasi un prete ed è facile fare battute. Lo tradiscono i pantaloncini verde scuro. Ai lati due turnisti, anch’essi nerovestiti: a sinistra, con un panama in testa, c’è Ezio Bonicelli (chitarra e violino) e a destra Luca Rossi (chitarra e basso), entrambi sono ex componenti degli Ustmamò.
Il numero degli astanti aumenta classico dopo classico: “Amandoti”, “Mi ami”, “Svegliami”, “Cupe Vampe”, “Annarella”, “Del Mondo”, “M’Importa ‘Na Sega”. Gli arrangiamenti, essendo solo in tre, sono minimali, ma Giovanni Lindo sa che cosa vuole il pubblico sottostante. E ne sono contento anch’io che, per ragioni anagrafiche, non l’ho potuto apprezzare ai tempi dei CCCP.
Tra il pubblico incrocio Roberto Recchioni, sceneggiatore di “John Doe” (di cui è anche l’ideatore) e “Dylan Dog”, e, poco dopo, Mauro Uzzeo, altro sceneggiatore, di fumetti e non, che passa a salutarmi: ci avevo parlato il giorno prima, era tra il pubblico all’incontro sul tema “A che punto è il fumetto?”, condotto da Luca Valtorta direttore di XL. Il già menzionato Recchioni faceva parte del dibattito, mentre Uzzeo era tra il pubblico. Del resto Arezzo Wave è caratterizzato da tutta una serie di eventi collaterali.
A un tratto Giovanni fa una pausa e si rivolge, per l’unica volta in tutto il concerto, al suo pubblico: racconta di quando Mauro Valenti, il patron del festival, lo contattò per suonare anni or sono. Ci furono dei contrasti tra loro (erano ancora i tempi di “Islam Punk”, di album intitolati “Ortossia” e “Divergenze-affinità Tra Il compagno Togliatti e Noi”) e così esordì live al grido di «Arezzo mi attrezzo per il tuo disprezzo!»
C’è poco spazio per le digressioni nostalgiche e si riparte subito. I tempi sono cambiati, la sua filosofia, il suo stile di vita sono mutati: non tornerò mai più dov’ero già / non tornerò mai a prima mai, canta in “Irata”. Oggi la sua esistenza sembra conformarsi alla rinnovata fede e ai ritmi della campagna (come dimostrano la location e l’ora del concerto). Al di là di ciò che si possa pensare della sua svolta radicale, resta il valore indiscusso della sua musica e della sue parole. Insomma, questo concerto è stato un ottimo modo di celebrare trent’anni di carriera ed è valso bene un’alzataccia.
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