Giovanni Nuscis, La parola e lo spessore, note critiche di Gianmarco Lucini, puntoacapo Editrice, 2010
Questo libretto intende proporsi come analisi critica di tutta l’opera fin qui prodotta da Giovanni Nuscis ; la cura è di Gianmario Lucini, attento critico e fine poeta egli stesso.
L’opera vuole dunque fissare un punto di vista analitico ed esaustivo sulla poetica nel suo affinarsi nel tempo e , contemporaneamente, restare incompiuta così come deve restare per un poeta parco di opere ma ancora giovane e con una voce fertile in grado ogni volta di ri-generarsi.
La sua struttura articolata vede il critico prendere in esame le opere edite da Nuscis sotto vari aspetti ma soffermandosi in particolare sulla parola e lo spessore che acquista nei versi , parola mai superflua, mai compiaciuta, al contrario parca, vigilata, necessaria al messaggio, alla completezza e alla coesione di ogni singola poesia . A riprova di quanto va affermando Lucini inserisce , fra i vari paragrafi critici, alcune poesie che sono anche come testimonianza del percorso compiuto dal poeta dalla prima pubblicazione “ Il tempo invisibile” del 2003 all’ultima raccolta che troviamo qui edita per la prima volta “Transiti” ; nell’intervallo temporale sono state edite le opere “Il tempo invisibile”, “In terza persona” e “La parola data”.
L’attenzione che pone Lucini alle tematiche proprie del poeta si intersecano con quelle della poetica più in generale; tuttavia, screditato ogni canone fisso, il critico deve utilizzare dei principi saldi e certi entro i quali operare la sua analisi. Questa operazione è compiuta con chiarezza, cura e scelte precise : analisi del contenuto , del dettato, della prosodia, della versificazione, del lessico.
Nuscis viene da lontano e comunque come tutti viene dalla sua esperienza e dalla sua sensibilità; si sa che minore è l’età e meno certo è il dettato; anche il questo caso vediamo una poesia che addenta il proprio tempo e ne coglie gli angoli scuri, le ombre che poi ombre non sono ma si fanno paesaggio umano , desolato spesso, sempre meno dono per l’uomo, ma in potere dell’uomo che dimentica la precarietà del suo esistere e anziché affratellarsi si pone in opposizione al fratello, perché Caino non è mai morto e costruisce il mondo.
E tuttavia mi pare che mai la poesia di Nuscis si erga a giudice severo, punti il dito indicando; egli censisce in poche visioni e /o riflessioni, non orfiche o misteriche, ma esemplarmente reali uno stato delle cose, che non è un buono stato, salubre e salutare. La sua poesia denuncia , quindi, seppure con sobrietà di linguaggio, di scelte metriche e lessicali, di contenuti ma anche indica un’oltranza riconoscibile e riconducibile all’essere uomo: “ Vita non è solo quella che vedi/ Ce n’è un’altra nascosta/ Pudica / Talvolta a fatica, o per gusto/ Situata tra il pube e il cuore./ ….. e ancora : “ Là, dove origlia il vento, si raccoglie/ Il tempo: presto o tardi, cosa importa?” Accanto a questi versi che ci conducono ad un’accorata speranza, nella stessa opera “Il tempo invisibile” leggiamo anche : “ Quale bestia/ Dall’antro catodico/ Ci parla/ Bevendo i nostri occhi? /( ………………)/ Ah, le fiere di una volta / E le nuove / con l’imbonitore che ti offre/ la magica pozione/ O la pignatta./….”
Ma ancora nella raccolta successiva “In terza persona” , Nuscis osserva e interpreta il presente; la sua poesia immalinconisce, si disincanta ma resta ancora incernierata sul quotidiano io-noi-esistere: “ …./ Un camion della spazzatura precede/ un’interminabile fila che/ pazienta ogni notte, senza suonare/ senza svegliare chi dorme./ Fiume Santo …)
Potrebbero questi pochi versi esprimere un “correlato oggettivo” alla Eliot o alla Montale?
Potrebbero, certo, ma Nuscis, a mio parere, è poeta bordeline: oscilla fra una tensione etica e sociale riconoscibilissima e un personale senso di insufficienza dell’esistente così come lo si incontra e lo li vive. Sottostante si riconosce quella tensione all’oltranza più esplicita nella prima opera dove anche la lettera iniziale di ogni verso era maiuscola. Dal maiuscolo il poeta è passato ad una sintassi regolata e rispettosa, e anche questo sostanzia un senso di delusione e di impotenza di fronte all’immane peso e all’immane dolore che abita l’uomo e ammorba l’aria che respiriamo.
Nuscis non lo esplicita se non per fugaci cenni eppure il dolore personale e civile è perfettamente inscritto nei suoi versi.
Ma esaminiamo la nuova opera “Transiti”; silloge parca per numero di poesie ma intensa, coesa, ormai perfettamente conquistata dalla scelta tematica di un qui pur “Sapendo che l’istante in cui siamo/ è già passato e non torna indietro.”
La parola che dà il titolo alla raccolta esplicita il contenuto: transiti sono passaggi: di eventi e persone, di stati dell’animo e di condizione, sono minutaglie dell’esistenza che ugualmente l’hanno qualificata. Qui il tempo non ha scansioni sebbene sia il protagonista, ovvero i transiti avvengono sempre in un tempo e in un luogo, che tuttavia sono indifferenti rispetto agli esiti prodotti.
Fu un transito anche una esperienza di lavoro giovanile, rude e scherzosa, densa di senso oggi riscoperto se può affermare : “ Mi segno mentalmente/ ogni volta che passo davanti/ a quella chiesa dismessa / senza ministranti e fedeli/ di una qualunque fede.” Si abbia presente che quella chiesa dismessa era il locale caldaie di un ospedale dove un gruppo di giovani lavoravano e sudavano e si guadagnavano chi il pane chi il salario per gli studi; ma il lavoro nobilita, diventa sacro quando è comitale. Ma la vita che ha operato dismissioni di ideali , che si è appiattita su un desolante paesaggio umano , ritrova un brivido adrenalinico quanto riconosce il nemico . Eppure c’è una bellissima lirica titolata “Matrioske” di conoscenza, di smarrimento e di sperdimento perché i vecchi che restano a raccontare trasformano la curiosità dell’ascoltatore nella percezione “di voi di me dell’estraneo che divento/ poco a poco.” Estraneo a chi? E che cosa? E perché? Fa male sentirsi sempre all’interno delle situazioni in atteggiamento compulsivamente attivo, ma fa male anche assentarsi all’esterno, estraniarsi da se stessi, percepirsi altro da quanto si era immaginato.
Ho parlato di poesia lirica, ed è tale quella di Nuscis, ma il lirismo è così contenuto, così lontano da ogni compiacimento che ci si stupisce quando, rarissimamente, si incontra un’assonanza, un’interna rima; è lirica perche il dettato fluisce per immagini e visioni pur essendo poesia , e convengo in parte con Lucini, riflessiva intendendo con tale termine l’accuratezza e la sorveglianza del dettato e del contenuto, e riflessiva anche perché non si abbandona né al canto né al lamento, anzi si ritrae da ogni eccesso : è il pensiero che si fa visione , pensiero agito anche linguisticamente per restare nell’ambito del comunicabile . Naturalmente la scelta di un linguaggio alto per cultura ma non ostico, ambiguo, appartiene anche alle scelte etiche che opera l’autore nell’ambito del possibile.
Infatti ci dice Nuscis in “Lama di luce”, titolo che contiene un universo di significati se seguito dai versi che intitola: “ Tutto torna/nella gabbia sfondata del tempo/ lineare, senza preveggenza./ ( ……..) / E tu ricordi certo mani / che ti cullavano / la voce che ti accompagnava / credendo/ che non t’avrebbe mai abbandonato.”
La fragilità è confessata senza pudori, no, egli non ha imparato a dissolversi, come la neve, senza farsi male, senza dissolversi; e anche la miseria dell’uomo non poteva essere meglio detta che da questo distico di suprema significazione: “ Fame siamo/ e briciole che restano nel piatto.”
Tutte le poesie che compongono l’opera si muovono dentro questa aura di vinto senza colpe all’interno di un destino che è deciso altrove, forse, che qui ci lascia insaziati , al buio: “L’amore minuto/ nei minuti che giungono/ e cadono rapidi/ nella notte senza fondo.”
Narda Fattori