Aspettando il post
Mi rendo conto di quanto possa risultare vergognosa la mia assenza di questi mesi, ma a volte anche le star si assentano dal palcoscenico per un periodo, gli scrittori perdono l’ispirazione e i professori universitari si concedono l’anno sabbatico. Perciò.
Fine aspettando il post
Alla mostra “Miseria e splendore della carne” in corso al Museo d’arte della città di Ravenna, Caravaggio è in una posizione direi decisamente strategica. Cioè alla fine. Questo per alcuni semplicissimi motivi: perchè è l’opera-chiave-madre di tutta la mostra, e Caravaggio quindi è un po’ il deus ex machina di tutto il percorso; perchè la mostra è costruita su una struttura decisamente teatrale e quindi la “riapertura di un sipario immaginario” sul Ragazzo morso da un ramarro è uno spettacolo davvero sbalorditivo; perchè il critico al quale è dedicata la mostra, Giovanni Testori, era un anti-Radical, e in Caravaggio non c’è nulla di Radical Chic, anzi. Per usare un neologismo di gran voga ultimamente, questa è una mostra di pancia (che Simona Ventura mi voglia gentilmente passare il termine da lei coniato…): Caravaggio è un’artista di pancia, come lo sono Francis Bacon, Chaïm Soutine, Alberto Giacometti, Renato Guttuso e sì, anche Ennio Morlotti (se non lo è stato lo diventa inserito in un contesto del genere…). Questi sono solo alcuni dei nomi presenti che fanno da corteo a Caravaggio e a tutta la generazione dei caravaggeschi “pestanti” carichi di colore scuro e luci soffuse e scenari morbosamente macabri. Le teste mozzate del Battista sono carichi di una passionalità travolgente quanto lo può essere la carnalissima estasi della Maddalena, di Erodiade e di San Francesco d’Assisi. L’ambiguità, ecco cosa si percepisce osservando queste opere: San’Antonio da Padova è ambiguo quanto la Strega di Otto Dix, o l’Esteta di Schlichter. E’ come se le opere scelte, collezionate e studiate da Giovanni Testori rispecchiassero esattamente la sua ambiguità omosessuale che è in continuo tormento col la sua fede smisurata. Tormento ed estasi, spiritualità e perdizione: come se Testori si sentisse perennemente in colpa per ciò che era e provava, un continuo contrasto interiore rispecchiato da queste tele maciullate di colore che lui vedeva come carne pulsante.
Alla fine di questo lungo percorso quindi, si trova Caravaggio, che riassume in un certo senso tutti i concetti esaminati lungo le sale, che corona un’esposizione entusiasmante, coinvolgente: una ciliegina, che difficilmente vi permetterà di dimenticare “il groppo” che proverete facendo parte anche solo per un’ora del turbolento mondo di Giovanni Testori.