Gipsy Loves pasta – Episodio 2

Creato il 12 febbraio 2015 da Agipsyinthekitchen

Adesso vi racconto una cosa.

Vi racconto qualcosa che per me è ancora molto doloroso affrontare, non perché non lo abbia superato, ma piuttosto perché forse non sono stata in grado di tutelare gli attanti di questa situazione, quando accadde.

(Premessa importante: poi i risvolti, a guardare ora, sono stati superlativamente magnifici, quindi bando alle ciance e ai kleenex, quanto piuttosto stappiamo champagne e brindiamo ai nuovi inizi)

Ho deciso di parlarne per via del fatto che con la mia amica Filippa, con la quale abbiamo cucinato e impastato e mangiato ottime tagliatelle fatte in casa per Marcato, ci siamo ritrovate a disquisire sul mondo digital e su ciò che si condivide giornalmente.

Quello che sto per raccontare ora  è stata la magnitudo forza 9 di un terremoto che ha devastato ponti e castelli, facendo crollare vite.

Di buono c’è però che dalle macerie abbiamo ricostruito ed edificato un nuovo Eden, esattamente come piace a noi, tenendo quelle rovine che sanno di memorie e ricordi, e abbattendo invece quei sentori di passato che non servivano più a nulla.

Questo blog è stato aperto per gioco – con due sorelle di cuore sparse tra Amsterdam e Parigi, non avevo altra scelta che trovare un modo comunicativo più immediato e rapido del flusso di email, che a volte tornavano indietro per il troppo peso di allegati fotografici che immettevo nell’etere.

All’inizio lo lasciai privato, poi con il passare del tempo, per le richieste di altre amiche divenne pubblico. All’inizio altro non era che semplici elucubrazioni di pensieri e ricette, goffi tentativi di un’imbranata e poco coordinata Gipsy che tentava di diventare la casalinga perfetta, la moglie perfetta e persino la cognata esemplare.

Si perché all’epoca abitavo in quel di Como, avendo scelto di seguire l’uomo che amavo e con il quale avevo deciso di costruire quello che pensavo fosse il nostro futuro: casa, famiglia e amici, perché così si fa quando si ama. Ci si perde un po’ nell’altro, il suo mondo diventa il tuo. E non è rinuncia, ma semplice teoria e pratica di un amore che alimenta ogni attesa,aspettativa e speranza.

Immaginate questo: casa nuova, città nuova. Geometrie di incastri perfetti tra treni da pendolare e cenette cucinate con il cuore, magari improvvisate, ma piene di impegno e cuori a profusione. Immaginate ancora: casa sopra la sua famiglia, che avevo assunto a mia, di famiglia, imponendo un’adozione che forse loro non volevano più di tanto – alla fine ero “quella di città, che lavorava nella moda e persino con i genitori divorziati ed entrambi risposati”.

Ma a me non importava: avevo noi, avevo l’illusione di un sentimento nel quale credevo molto e per il quale mi piaceva migliorarmi ogni giorno, adattandomi sempre di più a quello che mi veniva richiesto da un tale ruolo e amando anche una famiglia che mostrava segni di non volermi conoscere più di tanto.. Eh, che volete farci: quando amo, amo a 360°, incluso e soprattutto chi ha generato l’oggetto del mio amore. Un onore dovuto – al di sopra di qualsivoglia contrasto o difficoltà o nervosismo che magari il coabitare o una certa impostazione di dinamiche affettive comporta.

Cosa succede poi?

Poi succede che da qualcuno di molto poco coerente  all’interno di questo nucleo famigliare vengono mosse accuse che si esplicano in ritorsioni. Peggio: diventano minacce e offese che trovano la loro forma in commenti anonimi al di sotto di ogni mio articolo di questa realtà digitale che stavo creando.

Prima di capire chi fosse, ho passato mesi a scervellarmi e a ricredermi su quanto scrivevo, a mettere in dubbio ogni aspetto di tutte queste accuse che mi venivano mosse ingiustamente. Piangevo, tanto. Mi guardavo alle spalle, ossessionata dall’incubo di venire aggredita da chissà poi chi e soprattutto perché. Ero in pena – le discussioni con l’uomo che amavo erano ormai all’ordine del giorno e non capivo dove sbagliavo nel condividere semplici ricette contorniate da pezzi di vita che tutto avevano tranne bruttura.

Io ero totalmente ignara di chi fosse, all’inizio, questo drago che si nascondeva dietro dialetti comaschi per insultare me e denigrare la mia famiglia. Ma questo drago, con grande forza di persuasione è riuscito nel suo intento – quello per cui credo mi abbia persino maledetta. Come ci è riuscito? Tra accuse alla mia famiglia – con mia madre in clinica per depressione acuta, frasi simpatiche quali ” la mela marcia non cade mai lontano dall’albero” – e continue denigrazioni ai miei titoli di studi – “Scienze della Comunicazione non è una laurea” – nonché intimidazioni sullo stato della mia sicurezza, con attacchi bilaterali e frontali – tra incursioni sul mio conto corrente e richieste di visura sui possedimenti di mio padre – come se tutto questo c’entrasse effettivamente qualcosa con la sacralità della famiglia e dell’unione  che legava me e per l’appunto, il mio ex fidanzato.

In realtà la vera domanda era come mai chi diceva di amarmi così tanto, poteva permettere un tale abuso di potere da parte di una persona – che seppure parte importante della sua famiglia –  nemmeno lui stimava più di tanto e che relegava al ruolo di ” non tanto a posto di cervello”.

E purtroppo la risposta è unica: possiamo disquisire di mancanza di coraggio e appellarci al non sapere come affrontare legami la cui sacralità è vincolata dal sangue, ma la risposta più vera è che ci vuole fegato per amare e sopportare ogni conseguenza che ciò implica.

Poi si perdona quello che è stato – alla fine eravamo solo ragazzi il cui cuore batteva a ritmo irregolare, ancora forse, all’epoca, troppo incatenati a ruoli imposti. Ma non si possono dimenticare certe cose. Si va avanti, si volta pagina, ma non ci si può non aspettare disciplina nella coerenza di un amore. Soprattutto se l’amore professato è profondo. Altrimenti è sono dialettica di linguaggio. Ed è proprio lì che si sviluppa la differenza. Ed è proprio lì che allora l’unica cosa che si può fare è perdonare, e riconoscere i limiti di una Storia che forse semplicemente non era segnata.

Comunque: ero in crisi totale gente… come era possibile che condividere amore avesse generato una tale palla di odio?

In realtà, quello che mi ha ferito più di tutto, non sono stati i suoi patetici attacchi, quanto piuttosto chi doveva proteggermi, invece di protrarsi con uno scudo, si è ritratto intimorito – eh si perché questi draghi sanno bene giocare con la coscienza e le forze oscure che magheggiano con abilità. Solo dopo, e con la lucidità di chi ha affrontato guardando negli occhi il dolore, ho capito che un maglione azzurro non rende un principe un principe azzurro. E che l’errore più grande era stato solo mio: ovvero ho dubitato di me stessa, di quello che stavo facendo, del percorso che avevo intrapreso.

Non bisogna MAI dimenticarsi da dove si viene e di quello che si è capaci.

Se non siamo noi le prime che credono in se stesse, come possiamo difenderci?Come possiamo continuare a brillare?

Fast forward, cosa successe dopo?

Successe che il drago divenne ancora più zimbello di tutta una comunità che già sapeva del suo minus quam. Successe che dalle rovine, abbiamo costruito un eden. E succede anche che l’unica cosa che posso fare – in tutta onestà – è ringraziare questo drago: perché ha tirato fuori il meglio di me, mettendomi in una situazione sicuramente  non facile, di battaglia e pericolo.

Ma le battaglie aguzzano l’ingegno e ci rendono più belle. Lasciano qualche ferita, si sa, ma le cicatrici al sole si illuminano e diventano di brillanti.

Quindi eccoci al fulcro della discussione: cosa ci spinge a rendere pubblico quello che facciamo? Siamo solo dei vojeur oppure c’è qualcosa quasi di sacro nel professare un Share is love che scandisce le giornate?

Ebbene: per quanto mi riguarda, a me diverte la foto di instagram o lo status di Facebook. Credo che queste condivisioni social siano ormai fondamentali. Non solo contribuiscono quasi a creare nuove definizioni di estetica, ma persino generano cultura, offrono nuovi spunti, determinano nuove dinamiche.

Si parla di nuove educazioni dettate da un ritmo più frenetico di rapportarsi alle cose e alle persone, persino ai luoghi: viaggi tramite foto postate da sconosciuti ad Hong Kong oppure trovi l’ispirazione per il tuo prossimo articolo in un  banale tweed di poche parole. Agglomeri community, conosci poi persone che ti accompagneranno in un percorso reale di vita – al di fuori del digital.

Io credo che si riesca persino ad essere d’aiuto: pensiamo alle cure mediche, pensiamo alle informazioni che viaggiano e vengono immediatamente aggiornate sullo status di tragedie che accadono a miliardi di chilometri da noi,ma che grazie appunto alla condivisione si fanno nostre, così che possiamo mandare aiuti concreti.

Ovvio, tutto deve essere ponderato. Guardo quello che è successo a me, e che tutt’ora accade: bisogna tutelarsi. perché anche se mi piace credere il contrario, la fuori c’è un mondo troppo attento ai nostri passi falsi, troppo smaliziato per accogliere determinate parole con l’innocenza che hanno a prescindere dal tono che poi chi legge da.

Penso all’instagram di mia sorella ad esempio: lo guardo e mi preoccupo. Vedo una Bianca che non è quella che conosco io. O meglio: lo è, ma in minima parte. Vedo labbra rosso fuoco, vedo una ragazza splendida e ammiccante, vedo mini video di serate in discoteca, ho visto persino sigarette. Ne esco terrorizzata perché da sorella maggiore vorrei solo tutelarla e so che là fuori, tra i suoi followers, può nascondersi anche un lupo cattivo. E allora, se questo lupo uscisse dal bosco digitale e diventasse reale, e io non fossi lì, per parare il suo morso, cosa le potrebbe accadere?

Per concludere: come in ogni aspetto i questa quotidianità, bisogna trovare un giusto compromesso.

Io parlo tramite flussi di coscienza, ma cerco di non condividere troppo di quello che per me è realmente privato. Metto un sottile limite che traccio con il buon senso, laddove ciò che implica i miei sentimenti più delicati, non viene esteriorizzato se non con i diretti interessati. Non misuro in fotografie l’amore che mi lega al mio fidanzato, ai miei amici, alla mia famiglia. I baci, gli sguardi e gli abbracci fanno parte di una sfera emotiva e di ricordi che deve essere solo mia. Tutelo chi amo e chi ho amato, nel grande rispetto che deve instaurarsi in ogni relazione umana a cui ci approcciamo.

Ricordiamoci sempre che siamo quella generazione di principesse tatuate, e che i nostri figli potranno andare a ritroso delle nostre pagine FB e prenderci in giro per status e foto. Facciamo che siano scherzi burloni e niente che li faccia vergognare di noi…e su questo continuiamo a condividere, che l’unica cosa da urlare è Share is Love!

La Pasta di Filippa 

300 gr di farina

3 uova

mani inumidite

Sugo con: patè di pomodorini, carciofi, pomodorini neri siciliani, olio EVO, rosmarino. Capperi.

Si ringrazia

Marcato, main sponsor di #GipsyLovesPasta

Mauro Grifoni per gli abiti da super girl.


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