E così è caduta, definitivamente, la maschera di Berlusconi. È precipitato il sogno del populista che prometteva meno tasse, posti di lavoro e opere faraoniche. Ora il suo governo, e lui per primo, si affretta a dire che “è colpa dei governi precedenti” il che suona davvero come una grande presa per i fondelli, visto che Berlusconi è sulla scena politica dal 1994 e che ha governato, fra un’interruzione e l’altra, almeno un decennio. Così come patetiche scuse appaiono i richiami alla crisi mondiale e alla situazione che è “precipitata” in questi giorni.
La crisi è iniziata già nel 2008 e per anni ci hanno detto che non era vero, che era un’invenzione della sinistra, che bisognava essere ottimisti. Poi, quando ha fatto più comodo a lor signori, la crisi si è materializzata. Non più di una settimana fa Berlusconi si faceva vedere con il pollice alzato: “Va tutto bene, i conti sono in ordine, il governo è solido!”.
Ed ora eccoci qua con un welfare distrutto, con città sull’orlo di una crisi di nervi, senza fondi, con servizi pubblici ridotti all’osso, mal funzionanti, con sanità, scuola, cultura al collasso.
Basta fare un giro in centro di una qualsiasi città per rendersi conto che ormai è tutto in mano alle grandi catene (e, francamente, anche loro non hanno di che stare allegre). È un malessere che si percepisce, si respira.
Questa situazione ha un doppio effetto. Da un lato quello di accentuare, in chi era già predisposto, il senso di solidarietà, di unità, di raccogliere le persone in gruppi e movimenti. Dall’altra, all’opposto, quello di incattivire una fascia sociale che si vede privata dei propri privilegi (nel caso dei più ricchi) o che viene ridotta sul lastrico (per le fasce più povere).
La manovra che ci hanno presentato grava, direttamente e indirettamente (con il calo dei servizi per esempio) sulle spalle delle cittadine e dei cittadini con meno possibilità. Certo hanno cercato di addolcire la pillola con presunti tagli alla “casta” politica, hanno “giocato” con le province e i comuni (ricordo che la proposta dell’idv di abolire le province era stata bocciata qualche settimana fa da maggioranza e opposizione) ma l’amaro è ben presente in bocca. Si tratta, come ha sostenuto Tosi (un duro e puro della lega, quindi facente parte di questa maggioranza) di una manovra che avrebbe potuto fare un bambino, di un copia e incolla che non tiene conto della realtà che grava su questo paese e sulle famiglie.
Paradossalmente la famiglia è stata il tormentone di questo governo. Le precedenti campagne elettorali si sono giocate tutte sulla famiglia, questo doveva essere il governo degli aiuti e del sostegno alle famiglie eterosessuali benedette dal sacro vincolo del matrimonio.
Mi sembra che i risultati siano davanti agli occhi di tutti.
Certo sarebbe troppo facile dare la colpa solo a Berlusconi. Ricordo però che Zapatero, in Spagna, ha ammesso le sue colpe e sta pagando il prezzo dell’aver nascosto la crisi. Stiamo parlando di uno dei leader più innovativi e legati al concetto di tutela dei diritti e di società che l’Europa abbia mai conosciuto.
Se guardiamo ai mesi passati ci rendiamo conto che per troppo tempo i problemi privati del premier hanno avuto la meglio su tutto il resto. Se invece di impegnare un intero governo per leggi ad personam e conflitti vari di interesse il premier si fosse concentrato sulla crisi, se invece di regalare poltrone a inetti/e pur di galleggiare al potere, se invece di promuovere amici e amiche si fosse circondato di persone qualificate e non di yes man, forse, dico forse, ora non saremmo in questa situazione.
E ci siamo dentro tutt*, grandi e piccol* con tutti i doverosi distinguo.
La crisi è ben lontana dal finire. Se invece di impegnarsi a salvare “questa” economia si cominciasse a progettarne una nuova, inclusiva, sociale, non legata alle speculazioni di pochi, forse le cose ricomincerebbero a funzionare e non ci sarebbe bisogno, come invece sta accadendo, di ridurre le lavoratrici e i lavoratori in uno stato di eterna precarietà.
Marino Buzzi
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