Avevo pensato di lasciar cadere la notizia. Non per mancanza di interesse, ma di tempo.
Pure, l’ottimo post di WishAkaMax per i discutibili, mi obbliga ad alcune constatazioni.
Potremmo rispolverare molte delle considerazioni fatte a suo tempo con la ‘povna sul fatto che questo è un Paese fondato sul Romanticismo. In tutti i campi, giustizia inclusa.
I fatti. Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro sono stati condannati in tutti i gradi di giudizio per l’omicidio di Marta Russo. Colpevoli o innocenti che fossero, la giustizia ha emesso un verdetto. Che loro hanno scontato, nei tempi e nei modi previsti dal dispositivo di sentenza e dalla legislazione vigente.
E questo è un fatto.
In nessuno di quei dispositivi di sentenza, ripeto, in nessuno, è stato scritto che agli imputati, poi giudicati colpevoli, fosse precluso l’insegnamento indipendentemente dalla materia e dall’ordine e grado di scuola in cui la stessa venga impartita.
E pure questo è un fatto.
Se Giovanni Scattone dispone dell’abilitazione all’insegnamento, e se gli è stata assegnata una cattedra, si suppone che adempia ai requisiti fissati dal ministero competente.
Ulteriore fatto.
E’ comprensibile il dolore dei familiari della vittima, ma è pur vero che la collettività non può permettere che questo dolore leda il fondamento giuridico, anch’esso incontrovertibile, che la pena serva a redimere. Altrimenti tanto vale buttare via la chiave o passare direttamente alla pena di morte. E se la pena serve a redimere, e il colpevole ha scontato la sua pena, ecco, allora in quel caso, non esiste ragione alcuna per cui si debba montare un caso intorno alla sua vita di poi, dove per vita di poi si intende la vita post-pena.
Discutere sul fatto che i due imputati siano stati condannati con pena risibile rispetto alla gravità del delitto compiuto, ha poca attinenza con la problematica sollevata. Qui non si sta discutendo se sia stata giusta la pena, ma se uno dei condannati abbia il diritto di fare quel che gli pare (all’interno della legalità) della sua vita di poi. Ed è differenza non sottile.
S’aggiunga che quel processo mostrò tante e tali lacune investigative da rendere quella pena necessariamente lieve, in ragione dei moltissimi dubbi sulle prove circa la colpevolezza (e non si sta qui dicendo che fossero innocenti, ma che la Procura non fu in grado di apportare prove incontrovetribili sulla colpevolezza, che è diverso).
Che i familiari della vittima possano dolersi, e si dolgano, anche solo del fatto stesso che chi li ha condannati ad un dolore eterno possa continuare la propria vita, è fatto profondissimamente umano. Ed ampiamente comprensibile. Che solo un Paese legato alle sottane del Vaticano come questo può pensare di chiedere alla vittima se perdona il carnefice (lo chiedessero a me risponderei pianamente: ‘proprio per un cazzo, anzi gli auguro di crepare tra atroci sofferenze il più possibile protratte’). Però il dolore dei familiari della vittima non può e non deve diventare argomento da telegiornale e ledere i diritti (al silenzio, alla privacy) di chi comunque il proprio debito con la giustizia l’ha pagato. E ha diritto, se lo ritiene, all’oblio.
E con questo non dico che se Scattone fosse il docente di mia figlia farei salti carpiati per la gioia. Anzi, probabilmente avrei un iniziale moto di fastidio. Ma credo e spero che avrei anche la serenità di ricordare che la giustizia esiste, viene applicata, non è un criterio di scelta mia e pertanto non posso far altro che conformarmici. In nome di quella cosa che si chiama società e civile convivenza.