Perché è questo che fa l’articolo 18: scarica il peso del sostegno ai lavoratori tutto sulle imprese, che agendo invece sulla base del profitto preferiscono assumere con contrattini anziché accollarsi in azienda lavoratori che non potranno più licenziare se non per giusta causa. E la riorganizzazione della produzione? E l’ammodernamento della struttura? E il taglio dei rami meno competitivi dell’azienda? Non sono anche queste giuste cause per le aziende che vogliono sopravvivere in un mercato spietato e che garantiscono allo stesso tempo il lavoro nel nostro paese?
Oggi il mercato del lavoro non è più quello degli anni Settanta, quando l’articolo 18 è stato concepito. Oggi occorre più flessibilità. E lo stato come deve rispondere alla maggiore mobilità da un posto di lavoro a un altro? Deve spostare il welfare dalla protezione del lavoro a quella dei lavoratori. Tutti i lavoratori, senza distinzione fra aziende grandi o piccole e fra tipi di contratti. Chiunque perde il posto di lavoro e ne cerca un altro va protetto, ma oggi questo non succede. E se vogliamo ripartire con la crescita (e non intendo quella delle tasse), dobbiamo ammodernare le nostre leggi al sistema economico di oggi, adottando il modello della flexicurity che funziona nei paesi scandinavi e che offre la migliore protezione ai lavoratori.
E allora mi chiedo: perché i sindacati anziché portare avanti questa ipocrisia dell’articolo 18 da difendere a tutti i costi, quando invece già oggi copre una fetta minoritaria di lavoratori, non pensano a come proteggere e garantire chi l’articolo 18 non lo vede neanche con il binocolo?